“Dio arriverà all’alba”: poesia in prosa (e in scena) nel ricordo di Alda Merini

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Alda Merini

Se volete vedere un poeta, guardatevi allo specchio e lasciate che la mano scriva”.

Con queste parole Antonio Nobili, regista e autore dello spettacolo andato in scena questo weekend al Teatro della Limonaia a Sesto Fiorentino, si è congedato da un pubblico entusiasta alla fine della serata.

Il messaggio – o per lo meno uno dei messaggi – della pièce è proprio questo: la poesia ci circonda, non è da ricercare che negli spazi vuoti di tutto ciò che sta intorno a noi.

L’Alda Merini portata in scena da Antonella Petrone non ha nulla da invidiare ai protagonisti delle migliori commedie del nostro tempo: in scena sin da prima dell’ingresso del pubblico in sala, dà l’impressione che la vicenda sia cominciata molto prima dello spettacolo e che i riflettori si siano accesi casualmente su uno dei tanti, indimenticabili momenti vissuti da Alda nel suo sgangherato appartamento sui Navigli.

Il viaggio tracciato dal genio di Nobili è meraviglioso e ruota intorno ad Alda che è insieme centro di gravità permanente e Cicerone del suo piccolo, grande universo.
La storia è semplice quanto efficace, ma l’eccezionalità della figura della Merini moltiplica le nostre percezioni e investe lo spettatore di quattro emozioni ben distinte. Quattro come il numero che tante volte ricorre nello spettacolo, come il preferito della poetessa.

All’inizio c’è il divertimento. Ad uno spettatore ignaro di chi sia stata e cosa abbia vissuto Alda Merini, potrebbe sembrare di trovarsi di fronte ad una commedia brillante: i rapporti tra i personaggi sono ben bilanciati, la scintilla della comicità sfavilla con ritmi piacevoli e Alda è padrona della scena con i suoi vizi, la sua irriverenza, il suo tono canzonatorio che schernisce ora la zelante Anna, ora il timido e impacciato Arnoldo, ora il Dottor Gandini, l’ortopedico, le cui scene risultano veramente adorabili.

Quindi, la curiosità. Già dalla prima istantanea, ci sono dei particolari che attirano l’attenzione e inducono a volerne sapere di più. Chi è quella bambina? Come fa Alda, grande poetessa, a vivere in un appartamento così modesto? Quali sconvolgimenti porterà nella vita di Paolo, l’universitario che, attraverso la voce fuori campo, ci narra la sua storia fin dal principio?

Ammirazione. A dire la verità, sono molti i momenti in cui, da modesto attore e maldestro regista, ho provato ammirazione per quanto veniva condiviso con noi del pubblico dagli attori e dall’autore, ma distinguo l’ammirazione come terza emozione perché è solo nella parte centrale, quella in cui Paolo riesce ad entrare nel mondo di Alda, che si dipanano sentieri immaginari attraverso i quali si viene guidati dal virtuosismo metaforico e dalla dolcezza delle parole che arrivano all’orecchio e colpiscono al cuore. Il tutto accompagnato da una colonna sonora toccante che ben si sposa con il tono drammatico ma fiero e delicato al tempo stesso della storia di Alda, ricoverata in un manicomio e lontana dalle proprie figlie.

Infine, sofferenza. Non mi si fraintenda, non sono stato male, nemmeno per un secondo. Quello che intendo è più simpatia, nel senso antico del termine greco, sumpathein, “sentire con”: la bravura degli attori sta proprio nel simpatizzare con chi sta al di là della quarta parete, facendo trasparire i propri sentimenti.

“-Soffrire è un’arte.
-E da quando soffrire è un dovere?
-Da quando esistono i poeti”

Il rapporto con il manicomio è un altro punto focale della rappresentazione. Che poi, qual è il vero manicomio? Il posto dove si può essere se stessi, o quello dove si deve costantemente indossare una maschera? In questo senso, teatro e manicomio sono affini: entrambi puntano al mondo “là fuori” come popolato da “ipocriti”.

Pazzo è colui che è così vigliacco da accettare di essere normale“.

Sono parole che difficilmente si scordano. E mentre le linee narrative trovano la loro conclusione, tra amori e lacrime, lo spettatore viene cullato dal pianto dell’anima di Alda, che ha lasciato andare Paolo. Sì, perché soffrire è un’arte, e “le lacrime dell’anima sono i versi del poeta”.
E i versi del poeta, nel nostro caso i versi prosaici di Nobili, sono l’omaggio migliore che si possa fare all’anima di Alda Merini e alle anime di tutti i poeti. Cioè, tutti gli uomini, se si tiene a mente l’apertura di questa recensione.

FEDERICO TARGETTI

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