‘Libero’ ricostruisce le vicende di Richard-Ginori

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Di seguito l’articolo di Sergio Luciano sulla situazione della Richard-Ginori apparso a pag. 23 del quotidiano Libero il giorno 7-10-2017:


••• Un marchio del lusso italiano famoso in tutto il mondo: Richard Ginori. Un fallimento, che accolla a tre banche italiane – Bnl (che poi è francese), l’ex Popolare di Vicenza e Unicredito 24 milioni di sofferenze bancarie, in parte copribiil con la vendita di un terreno. Un accordo, che salverebbe il lavoro di 1030 dipendenti, grazie all’intervento di un fior di investitore: il gruppo Kering di Francois Pinault, padrone di griffe stellari come Gucci o Yves Saint Laurent. E invece, il colpo di scena: Unicredito sceglie la scorciatoia e vende la sua parte di crediti a un fondo locusta, il famigerato FortressDobank. Il quale, ad accordo accettato dalle altre due banche creditrici davanti al Ministero dello Sviluppo economico, dice «niet» e rimette tutto nel frullatore. A rischio – un rischio purtroppo ancora drammaticamente concreto – che salti anche il salvataggio dell’azienda, visto che la Kering aveva chiesto, tra le condizioni per acquistare Richard Ginori, una prelazione sull’area, che ha in affitto, avendo investito circa 80 milioni nel recupero del marchio, preservando la produzione e molti dei posti di lavoro: «Siamo sconcertati per la decisione incomprensibile di Fortress-DoBank che mette seriamente a rischio la prosecuzione dell’attività aziendale». Ma andiamo nei dettagli, per capire meglio il meccanismo perverso che scambia gli utili da urlo di chi fa attività finanziarie lecite sì – lo si sottolinei a scanso di querele – ma spregiudicatamente speculative con gli investimenti nell’economia reale di chi fa ancora industria. Dunque la Richard Ginori di Sesto Fiorentino, fondata nel 1735, famosa in tutto il mondo per la porcellana, nel 2013 fallisce. Poco prima, scorpora le attività industriali da quelle immobiliari: 130mila metri quadrati su parte dei quail sorge la fabbrica. Arriva Kering, offre al tribunale di Firenze 13 milioni e rileva l’azienda, ma non i terreni – intestati a Richard Ginori Real Estate, a sua volta per metà di proprietà della procedura fallimentare e per metà di un gruppo di immobiliaristi pratesi – per i quali Kering paga un affitto e chiede un diritto di prelazione sul 50% della Ginori Real Estate.
Quest’ultima ha circa 24 milioni di debiti verso le 3 banche: 21 milioni di capitale e interessi sicuramente dovuti e altri 3 milioni di interessi su cui c’è un contenzioso coi liquidatori. A fine 2016 il ministero trova la quadra: le tre banche creditrici concordano sulla vendita dei capannoni alla società industriale ormai del gruppo Kering. Si lasciano convincere da un’offerta di circa 6 milioni di euro, cioè circa il 25% del valore. Ma Unicredit si sfila, cedendo i suoi crediti a Fortress-Dobank per 1,2 milioni di euro (è un «si dice», ma nessuno ha smentito), pari al 20% del nominale. Accettando per quel 6% un prezzo di 2 milioni (la sua parte dei 6 concordati al ministero) Fortress guadagnerebbe in pochi mesi un utile del 67%. Non le basta. Vuole realizzare almeno il 50% del credito complessivo, 12 milioni da dividere per tre, su cui, pagherebbe le tasse fuori Italia. Bnl e l’ex Vicentina avevano accettato, ma non per filantropia: temevano che lo stabilimento potesse chiudere, mettendo sul lastrico centinaia di famiglie, che smetterebbero di pagare i loro mutui. Significherebbe perdere da una parte il surplus di quattrini appena rastrellato dall’altra. Invece Fortress-Dobank se ne frega dell’ecosistema di SestoFiorentino. Dice Biagio Riccio, tra i promotori del disegno di legge in Commissione Finanze alla Camera per una soluzione definitiva del problema dei non performing loan, i crediti che non rendono: «È una vicenda clamorosa ma tipica, conferma che i fondi avvoltoio sono totalmente disinteressati al sistema economico italiano e alla vita di milioni di famiglie. Procedere con la cessione delle sofferenze ai fondi avvoltoio creerà migliaia di casi alla Richard Ginori e la spoliazione immobiliare di centinaia di migliaia di famiglie. Per questo le proposte di legge sul Giubileo Bancario degli onorevoli Paglia e Marotta, devono andare velocemente in aula». Diceva Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d’Italia, il 14 giugno scorso, che «rilevanti e rapide cessioni di crediti deteriorati possono essere la soluzione solo qualora sia a rischio la stabilità della banca. Vanno evitate politiche generalizzate di vendita, che condurrebbero a un indesiderabile trasferimento di risorse a danno delle banche italiane e in favore dei pochi investitori specializzati, in larga misura di origine estera, che operano in regime di oligopolio sul mercato dei crediti deteriorati». Come no, detto fatto.

 

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