Occupazione Richard-Ginori, Falchi: “Questa situazione getta ombre sul rilancio dell’azienda”

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Nel pomeriggio di mercoledì 15 febbraio i lavoratori della Richard-Ginori hanno occupato simbolicamente la storica manifattura di viale Giulio Cesare. Il ritardo nell’acquisizione dei terreni mette a repentaglio il rilancio dell’azienda e il posto di 280 dipendenti. Il gruppo francese Kering, proprietario del brand dall’aprile 2013, aveva presentato un’offerta d’acquisto. Unicredit, Banca Popolare di Vicenza e Bop Paribas, cioè le tre banche creditrici del fallimento della Ginori Real Estate (controllata al 50% da Richard-Ginori e al 50% da Trigono), non hanno, però, accettato la proposta perché ritenuta troppo bassa.

Lasciare Sesto Fiorentino non è nei piani di Kering, ma senza l’acquisizione dell’area, il rilancio della fabbrica, anche sul piano dell’ammodernamento dei macchinari, sarebbe impossibile.

Sembrava che alla fine dell’anno fosse stato raggiunto un accordo sui termini del contendere nella trattativa per l’acquisto dei terreni e dello stabilimento, poi, da parte delle banche, c’è stato un passo indietro – ha detto il sindaco di Sesto Fiorentino, Lorenzo Falchi, al termine dell’assemblea con i lavoratori -. Per noi è importante che questa trattativa si chiuda velocemente perché questa situazione si protrae da troppo tempo e getta ombre d’incertezza sul rilancio e sulla realizzazione del piano industriale. Comune e Regione hanno ribadito che la destinazione d’uso di questi terreni è industriale. Se nella trattativa avesse intenzione di affacciarsi un soggetto con idee diverse da quelle di acquisire un luogo che ha come destinazione d’uso l’area industriale, sappia che ha sbagliato indirizzo“.

Occupazione Ginori

Ai liquidatori abbiamo fatto presente che non c’è più tempo, noi chiediamo una risposta rapida alla vendita dell’area perché dietro questa risposta c’è la possibilità di rilanciare a pieno l’azienda – ha aggiunto Gianfranco Simoncini, consigliere per il lavoro del presidente della Regione Toscana -. Vogliamo che ci sia la chiusura del cerchio. Abbiamo attivato anche contatti informali, tramite la nostra finanziaria, per capire la posizione delle banche. Abbiamo avuti contatti con il Ministero dello Sviluppo Economico al quale abbiamo preannunciato la convocazione di un tavolo, da parte delle organizzazioni sindacali, nel caso in cui non si dovesse arrivare ad una soluzione. Regione e Comune non permetteranno speculazioni. O ci si fa l’industria o ci si piantano le patate. Le banche devono capire che tirare ancora la corda non ha senso. Il territorio non può più attendere“.

E’ il momento di fare chiarezza, ci devono spiegare qual è lo stato dell’arte perché non è comprensibile mettere a repentaglio il bilancio dell’azienda, la sorte di 280 lavoratori e il futuro del Museo – ha concluso Bernardo Marasco, segretario generale della FILCTEM Cgil Firenze -. Vogliamo chiedere un incontro col Ministero dello Sviluppo Economico congiuntamente al Ministero dei Beni Culturali perché accanto ad un’area industriale c’è un’area museale. Questa situazione non può essere ostaggio di una trattativa opaca o che ha perso la sua logica. Io sono abituato a chiudere le trattative. Se c’è un bene comune, ci si chiude in una stanza, ci si scozza fino all’ultimo, ma alla fine l’accordo lo si trova. Due anni sono intollerabili. L’occupazione simbolica conferma il fatto che i lavoratori tengono all’azienda. L’acquisizione dei terreni è il collo di bottiglia da cui ripartono le altre possibilità di rilancio. Siamo in una situazione ibernata“.

STEFANO NICCOLI

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