Nel rapporto del medico condotto del Comune di Sesto subito dopo l’Unità d’Italia si trova traccia di quanto sia antica la tradizione che lega i sestesi alle budella di maiale:
“Alla confezione delle budella di porco nell’uso dei norcini e alla
preparazione dei granchi, ai quali mestieri […] danno opera
ab antiquo molti della classe più povera del paese e dai quali
ricavano in gran parte almeno la propria sussistenza”.
Lo stesso medico (Serafino Bindi) faceva anche notare quanto la lavorazione delle interiora avvenisse all’epoca in condizioni di scarsa igiene:
“Si hanno ancora dei fomiti di mal’aria nelle case stesse di molti
dei nostri paesani per la ragion della loro industria
consistente nel conciare le intestina dei Majali”.
(per saperne di più consultare il libro “Sesto, Una bella storia” di Daniele Niccoli, edito da apice Libri).
Oggi, che certi problemi di igiene pubblica sono superati, rimane ai sestesi il gusto della sbudellata e, anzi, non è così lontano il tempo in cui in paese veniva organizzata la sagra delle budella e del roventino.
Mi accingo a parlarne con Mario Parigi, “antico” (speriamo mi passi il termine) organizzatore della manifestazione.
Per questo mi sono condotto nella sua bottega in piazza del Comune (piazza Vittorio Veneto ndr.). Una mesticheria che ha mantenuto il gusto di una volta: un ambiente piccolo dove capisci che l’apparente disordine è solo un’organizzazione voluta del poco spazio a disposizione.
Entro in bottega e ci trovo mio nonno. Mario mi chiede:
“E tu che c’entri con lui?”
“E’ mio nonno”
“Peggio per te”.
Ecco ora sono proprio sicuro di parlare con un vero sestese. L’intervista può iniziare:
“Facevamo la sagra delle budella e del roventino a febbraio, in concomitanza con la sfilata dei carri di Carnevale. La sagra si teneva in piazza del Mercato, dove, fino a qualche anno fa, c’era un loggiato con sei negozi, mentre i carri sfilavano in piazza Spartaco Lavagnini. – mi dice Mario Parigi soprannominato “Mugnana” -. La prima edizione cui partecipai fu nel 1970, ma la sagra esisteva già da qualche anno. La prima volta fu una fregatura perché un ristorante, non faccio il nome, non ci diede delle budella buone. Decidemmo così di affidarci a donne che conoscevamo e che erano disposte ad aiutarci. Facevamo quintali di budella. Grazie a queste donnine siamo andati avanti tanti anni, ma poi, a causa della vecchiaia e della mancanza di manodopera, la sagra e il Carnevale furono interrotti. Non ricordo, però, in che anno. Non c’è stato ricambio generazionale. La sagra non si interruppe per motivi igienici a differenza di quanto si possa pensare, della Usl non venne mai nessuno a controllarci. Se vai chiedere il permesso per cuocere le budella, non te lo danno, questo è chiaro. Noi avevamo il certificato del dottore dei macelli che diceva che il sangue delle bestie era sano“.
La sagra delle budella era organizzata in maniera accurata:
“C’erano i reparti roventino e budella. Ci trovavamo tutti i mercoledì all’oratorio dei Giuseppini dove c’è un grande acquaio, l’unico nel quale potevamo lavare bene le budella. Le sgrassavamo in quattro o cinque. Una volta sgrassate, passavamo dieci acque fredde, dopo di che le rigiravamo per lavarle all’interno con altre dieci acque fredde. Le lasciavamo tutta la notte nell’acqua. Il giorno dopo dieci acque calde. Quando non le reggevamo più con le mani, le buttavamo dentro la pentola. Io mettevo aglio, pepe e cavolo, altri le spezie, ma quando le budella sono pulite, sono buone in qualsiasi modo. Questa è la ricetta di mia nonna e mia mamma. Se, invece, volevamo conservare le budella per mangiarle in più volte, le mettevamo dentro il surgelatore“.
La sagra non esiste più, ma da qualche anno Mario Parigi organizza dai Giuseppini una cena a base di budella:
“Tutti gli anni, verso metà gennaio, affitto la stanza dell’oratorio. Viene una ventina di persone a mangiare. Prendo le budella il martedì da una persona ad Agliana. Nel 2010 facemmo circa 400 chili di budella, sgrassate“.
Vi proponiamo qui sotto i dettagli della cena di budella del 30 gennaio e 1 febbraio 2008:
La sagra delle budella potrebbe essere un’iniziativa da riproporre? Soprattutto: i sestesi di oggi la capirebbero? “Se ci fosse qualcuno che la vuol rifare, ben venga. Io penso che i sestesi l’apprezzerebbero. In piazza del Mercato facevamo anche più di mille roventini“.
Qui sotto la presentazione del libro “Sesto, una bella storia“. Dal minuto 20 l’autore Daniele Niccoli parla delle budella:
Presentazione del libro "Sesto, una bella storia" di Daniele Niccoli
Presentazione del libro "Sesto, una bella storia" di Daniele NiccoliIntervengono: l'autore, Lorenzo Falchi, sindaco del Comune di Sesto Fiorentino, e Sandra Nistri, giornalista Firenze – La Nazione.Riprese e montaggio a cura di Sergio Campostrini, regista di Sestotv Webtv
Publiée par TuttoSesto sur Vendredi 19 octobre 2018
La sagra delle budella a Sesto andava di pari passo con il Carnevale:
“I primi fondatori furono Delfo Baldi e Fosco Masini. Costruivamo la base dei carri dai Giuseppini, mentre prendevamo i fantocci a Viareggio. A volte, però, li facevamo anche noi: abbiamo costruito anche un treno e un battello. Avevamo anche stanziato i soldi per costruire un capannone su un terreno della curia a Padule dove poter realizzare carri e fantocci. La curia ce lo avrebbe concesso gratis, bastava solo chiedere il permesso al Comune, ma alla fine non se ne fece niente. Qui dai Giuseppini abbiamo lavorato anche con venti gradi sotto zero. Mettere le mani dentro la colla di farina (usata per la produzione della cartapesta, ndr) quando era calda era un piacere, ma quando era ghiaccia, era ghiaccia forte. La notte dovevamo lasciare accese le stufe. Purtroppo ci è venuta a mancare manodopera anche per il Carnevale. O facevamo il salto di qualità andando al pari delle sfilate di San Mauro a Signa, con cui ci scambiavamo i carri, e Borgo San Lorenzo o smettevamo. Purtroppo ha vinto la seconda opzione”, conclude Mario.
“io un vo’ di’ che a sesto vu sia della gentaccia
però il companatico vu lo misurate a braccia”.
Racconti di una Sesto che non c’è più e chissà se ci risarà.
STEFANO NICCOLI
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