Me la immagino già donna, più per necessità che per età. In quel 1944, dicono, si cresceva in fretta. La guerra, la fame e le responsabilità verso la madre vedova e il fratello minore le avevano regalato quella maturità che troppo presto ti strappa dal mondo dell’adolescenza. Aveva diciotto anni, Mamma Silvia, e aveva perso il babbo già da sette, ma da qualche mese aveva qualche preoccupazione in meno visto che il fratello aveva trovato ospitalità al collegino di villa Gerini. A due passi da casa, per lei che abitava in via delle Porcellane.
Doveva essere una giornata normale quell’8 febbraio 1944, ma le giornate di guerra non sono mai normali: gli aerei, l’allarme, la paura, le bombe. Alla fine la tragedia. Una giornata iniziata con la messa e la nebbia e proseguita tra il fumo delle macerie, il sangue e le lacrime.
L’episodio è stato raccontato più volte e giustamente viene commemorato ogni anno davanti alla lapide di via delle Porcellane.
Qualche tempo fa, con grande emozione, ho potuto leggere, grazie ad una lettrice di tuttosesto.net, il racconto di Silvia che in quell’incursione ha perso “l’amato” fratellino. Leggendo cerco di immaginarmi il dolore. Poi, con un malcelato senso di pudore, abbandono il proposito: un dolore così grande non si può immaginare.
Mamma Silvia, come la chiama la nostra testimone, in realtà non è mai stata mamma biologica (chissà se l’episodio ha influito), ma è stata capace comunque di dispensare amore. Lo dimostra la commozione con cui viene pronunciata la parola “mamma” dallo stesso testimone:
“Nel 1944 il dì 8 Febbraio
23 bimbi fra i 5 e i 12 anni di età , appartenenti ad un collegio nei pressi di Colonnata.
Bimbi a cui, a qualcuno era morto il padre o la madre o entrambi.
Andavano alla scuola di Quinto, e quel giorno sopra scritto, alle ore 11e 30 del mattino, il sacerdote che si trovava con loro per la strada era andato a prenderli, causa le sirene di allarme.
Credeva di portarli al sicuro, mentre erano quasi giunti al collegio cominciarono i bombardamenti, cadde una bomba che non esplose ma la seconda fece una strage, una cosa allucinante.
Pezzi di gambe e di braccine, chi era addirittura a pezzetti irriconoscibili, una vera tragedia.
Misericordie, lettighe, un andirivieni di parenti.
Si sentivano urla e lamenti.
Le ricerche proseguirono per giorni e giorni, alcuni erano in ospedale, altri in briciole e non si poteva riconoscerli.
Per strada si incontravano solo autoambulanze, gente che urlava e chiedeva dei bambini e si sentivano rispondere che erano tutti morti, scene indescrivibili.
La gente che giungeva sul posto era una cosa straziante, pezzi di carne dei bimbi sparsi per strada, tutti neri, tutti affumicati, sembravano pezzi di carbone.
I muri tutti giù, nessuno riusciva a riconoscere i propri bambini, l’unico indizio o le scarpine o un lembo di maglia, una camicina ecc.
Giorni di ansia, di ricerca e di disperazione.
I familiari andavano dall’ospedale al cimitero, poiché dicevano che alcuni erano ancora vivi, in ospedale o al cimitero poiché tutti i miseri resti che trovavano di volta in volta li portavano lì nella stanza mortuaria .
Poiché la bomba li aveva scaraventati anche distanti, alcuni rimasero sotto le macerie dei muri.
Insomma dopo tutto questo andare di qua e di là furono ritrovati anche i pezzi e ricomposti un po’ alla meglio.
La Cappugi Fedora, con due figli piccoli e vedova, aveva messo in collegio solo da due mesi suo figlio Parigi Giuseppe di anni 8, perché c’era la guerra, c’era la miseria, ma soprattutto per la scuola.
Ogni Domenica tornava a casa, era tornato a casa anche quella Domenica ed il Martedì mattina, dopo poco più di un giorno, lo ritrovò tutti in pezzi, una gamba da una parte, una dall’altra, la testina spezzata, c’era solo il busto.
Gli altri pezzi furono ritrovati a parte, come anche molti altri bimbi.
Si salvarono solo due bimbi, uno perché si era fermato ad allacciarsi una scarpa, l‘altro era ancora più lontano.
Con questi bimbi muore pure il sacerdote Tezze Teofilo di appena 21 anni, era molto giovane.
Dopo giorni e giorni di ricerche affannose, di disperazione, raccolti tutti i resti, riuscirono a ricomporre qualcosa, ma ci volle molto tempo e alla fine furono riconosciuti tutti.
E poi la cerimonia in chiesa, madri che svenivano, urla strazianti, una madre ne aveva perduti due insieme.
Delle scene da non potersi descrivere tanto erano veramente strazianti, nessuno può capire se non chi le ha vissute.
Mentre i bimbi tornavano da scuola e gli aeroplani già ronzavano sopra, una bomba è caduta e non è esplosa.
Tutti i bimbi urlavano forte, un’altra bomba li ha portati alla morte.
Il fratellino mio, che amavo tanto, l’hò perso e non lo posso più vedere.
So che è morto e mi si spezza il cuore.
Oh gente, anche se avete il cuore di pietra ma questo fatto muove a compassione.
24 innocenti morti nell’ incursione.
Questi bimbi ed un giovane sacerdote di solii 21 anni hanno perduto la vita per causa della guerra e di odio fra gli uomini”.
Questi sono i nomi dei bimbi e del sacerdote:
- Parigi Giuseppe di anni 8
- Arrighetti Giacomo
- Balsamo Gaetano
- Barinci Littorio
- Baroni Romano
- Bellandi Valdemaro
- Bellò Oscar
- Cantini Brunellesco
- Capaccioli Fabio
- Cappellini Marcello
- Colletti Aldo
- Innocenti Romano
- Marconi Piero
- Mazzanti Silvano
- Moretti Piero
- Oleandro Raffaello
- Orvieto Gino
- Ragionieri Marcello
- Tani Remo
- Tarli Romano
- Toccafondi Athos
- Toccafondi Luciano
- Vannella Simone
- Tezze Teofilo
Alleghiamo all’articolo
- una foto rinvenuta dalla nostra testimone. Si scorgono un prete e un gruppo di bambini. La presenza, in alto, della nonna (Fallaci Adina) morta precedentemente ci fa pensare che si possa trattare proprio delle vittime del Collegino;
- un documento che testimonia l’iscrizione di Giuseppe Parigi al Collegio San Pietro.
I documenti sono stati donati alla Biblioteca Ernesto Ragionieri di Sesto Fiorentino
DANIELE NICCOLI
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Tarli Romano era cugino di mia madre, fu uno degli ultimi a morire per sua sfortuna. Dico questo perché mio padre mi ha sempre raccontato che quando sentì il rumore delle bombe provenire di la e sapendo che era ospite anche Romano, prese la bicicletta e si precipito’ a vedere. Trovò Romano ancora vivo e nella confusione lo prese in collo lo mise sulla canna della bici per portarlo da qualcuno che lo potesse curare, ma era orribilmente straziato e fatti 100-150 metri il bambino era già morto. Ecco, questa è sempre stata la testimonianza del mio babbo.
Grazie. Purtroppo molti particolari non sono stati tramandati e invece è importante divulgarli per non perderne il ricordo