Tomassini( Fratelli d’ Italia) ricorda la strage di Vergarolla

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Il dispiacere di non leggere nemmeno un rigo in ricordo delle vittime delle strage di Vergarolla mi spinge, insieme allo sdegno, a scrivere di quell’avvenimento del 18 agosto 1946 che entra a pieno titolo a far parte di quella storia che rimane ancora oggi troppo scomoda da menzionare e quindi per alcuni è giusto non raccontare. Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro. “In quell’estate del 1946 Pola era una città che, come tante altre in Italia, cercava di riprendersi dalle difficoltà, dai danni e dai lutti causati dalla guerra. Si stavano sgomberando le macerie degli edifici irreparabilmente distrutti dai bombardamenti alleati e si stavano ricostruendo le case ancora recuperabili. Persino il tempio di Augusto nel Foro romano, uno dei simboli della città e delle sue radici, era stata gravemente danneggiata dalle bombe venute dal cielo; se oggi migliaia di turisti, pur ignari della storia di queste terre, possono ammirarlo, il merito è anche dei polesani di allora che vollero ripararlo tempestivamente e della soprintendenza ai monumenti di Trieste che portò avanti i lavori. Ma quell’estate del ’46, a differenza della gran parte d’Italia, era vissuta dai polesani nell’incertezza sul proprio futuro, in bilico tra Italia e Jugoslavia, nell’impotenza di dover attendere delle decisioni prese altrove, da grandi potenze probabilmente poco propense ad ascoltare le ragioni di un paese sconfitto e di poche decine di migliaia di italiani. In città il clima era sempre più pesante, le massicce manifestazioni popolari che cercavano di dimostrare l’italianità di Pola erano sfociate in scontri con la più esigua fazione che invece, arrivando prevalentemente da fuori città, sosteneva l’annessione alla Jugoslavia di Tito. Nonostante quel pesante clima di contrapposizione, di paura ed incertezza, i cittadini di Pola, soprattutto le famiglie, cercavano di riprendere una vita normale, di dare serenità ai propri figli. Anche in quest’ottica, il 18 agosto molti erano accorsi sulla spiaggia di Vergarolla per la “coppa Scarioni”, una competizione di nuoto organizzata dalla società nautica Pietas Julia. Si trattava di una serena giornata di mare per tante famiglie, nella convinzione di poter trovare uno scampolo di normalità, di poter dimenticare per qualche ora l’incertezza sul proprio futuro. Un pomeriggio sereno che fu interrotto da un boato assordante che sconquassò i vetri di parte della città. Le scene riportate dai testimoni sono terribili: urla strazianti, corpi mutilati ovunque, arti e brandelli di carne che galleggiavano sul mare, divenendo preda dei gabbiani che gridavano come impazziti. In città si diffuse subito la notizia che lo scoppio era avvenuto in quella spiaggia mentre una colonna di fumo nero si alzava verso il cielo a conferma dei timori. Un encomio speciale va fatto a Dottor Geppino Micheletti che continuò strenuamente per due giorni ad operare i sopravvissuti, anche dopo aver appreso che per i suoi due figli non c’era stato nulla da fare, anch’essi vittime della sciagura. Si contarono 65 morti ufficiali, i cui nomi furono pubblicati sul quotidiano L’Arena di Pola già il giorno successivo; secondo alcuni polesani, le vittime furono molte di più, in quanto altri perirono in ospedale i giorni successivi ed alcuni non furono riconosciuti, in quanto arrivati dalle zone occupate dagli jugoslavi; oggi c’è chi parla di 116 vittime. Ma cos’era successo in quel maledetto pomeriggio? Fin dall’inizio fu chiaro che la deflagrazione era partita da un ammassamento di vecchie bombe anti sommergibile che erano state bonificate dai marinai italiani del Comando Marina di Venezia e più volte controllate anche dagli Alleati. Erano rimaste lì accatastate sulla spiaggia fino a quel momento, terribili ordigni bellici ormai guardati con indifferenza persino dai bagnanti, nell’abitudine di dover convivere con la guerra e i suoi strumenti, ma soprattutto con la convinzione che si trattasse ormai di un innocuo e triste residuato. Molti pensarono da subito ad un vile atto di intimidazione, il giornale clandestino “Il grido dell’Istria” fu l’unico ad accusare apertamente la fazione jugoslava (o filo-jugoslava). Si pensò anche ad una ritorsione, un avvertimento di fronte ad una orgogliosa manifestazione di italianità svoltasi pochi giorni prima all’Arena di Pola, anche in base ad alcune testimonianze di gente che aveva sentito chi festeggiava il fatto di Vergarolla come una “bella lezione”. In ogni caso, la tragedia ebbe l’effetto di far tracollare definitivamente le speranze della gente di Pola e di dare la definitiva spinta al massiccio e rapidissimo esodo dell’anno successivo, convincendo anche gli indecisi. Non si può negare che la strage di Vergarolla accelerò clamorosamente quel processo decisionale, convinse quasi tutti che il destino di libertà, quando non addirittura la sopravvivenza, erano per loro incompatibili con l’avvento della Jugoslavia di Tito. Fu forse anche per effetto di quell’esplosione che la quasi totalità dei polesani se ne andò in pochi giorni appena diffusa la notizia della firma del Trattato di Pace di Parigi. Eppure, al di là di quelle indagini ufficialmente senza sbocco ed apparentemente inconcludenti, i servizi segreti alleati erano arrivati a delle precise conclusioni che non furono mai divulgate. La verità venne a galla dopo 62 anni dalla vicenda, quando il dossier riguardanti Vergarolla sono stati trovati presso gli archivi dei servizi segreti inglesi di Kew Garden, a Londra, da due giornalisti triestini che pubblicarono quanto scoperto. I rapporti del servizio segreto inglese venuti alla luce citano come fonte – definendola attendibile – il controspionaggio italiano denominato “CS”, identificato nell’808° Battaglione, composto in prevalenza da Carabinieri, dipendente dal Servizio segreto militare SIM e fin dall’8 settembre del ’43 in stretta collaborazione coi servizi inglesi. Il primo documento, datato 19 dicembre 1946 ed intitolato significativamente “sabotage in Pola”, afferma che fonti attendibili davano per certa la matrice terroristica dell’esplosione, come opera dell’OZNA, la famigerata polizia segreta jugoslava che triestini, fiumani ed istriani conoscevano già bene come protagonista di arbitrari arresti e deportazioni, fin dall’immediato dopoguerra. Il documento va addirittura oltre, facendo il nome di uno dei “sabotatori” che avrebbero innescato le bombe e che sarebbe scomparso successivamente al fatto. Si tratterebbe di tale Giuseppe Kovacich, fiumano, già indicato come un agente dell’OZNA “molto attivo nel perseguire gli italiani” da un altro documento dei servizi segreti italiani del 6 luglio del ’46, quindi precedentemente alla strage. Dunque pochi mesi dopo la terribile strage i servizi inglesi e italiani parlavano chiaramente di “sabotaggio” ed avevano pochi dubbi sul fatto che si fosse trattato di un attentato con il quale elementi jugoslavi (o filo-jugoslavi) avevano inteso colpire gli Italiani di Pola e non solo. Appare grave il fatto che anche le autorità italiane, attraverso i servizi segreti, avevano ben più che un indizio in merito alla vicenda, eppure non fecero niente per approfondire le indagini, non cercarono di perseguire i responsabili, non denunciarono la cosa alla comunità internazionale.”

Comitato Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale Sesto Fiorentino Il portavoce Luca Tomassini

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