Diritto all’aborto: un gruppo di donne commenta le parole di Gandola (FI Campi) e della pres. Centro Aiuta alla Vita

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Il 29 gennaio scorso riportammo la protesta di Paolo Gandola, capogruppo di Forza Italia a Campi Bisenzio, e di Brunella Bresci, presidente del Centro Aiuta alla Vita, contro l’ordine del giorno del Partito Democratico a sostegno del diritto all’aborto (LEGGI QUI).

Riceviamo e pubblichiamo la riflessione di un gruppo di donne. Le promotrici sono: Rita Riciardelli, Cinzia Civitelli, Federica Petti, Anna Nestucci, Alessandra Biondi, Silvia Chessa, Giovanna Nicotra, Francesca Ciardi, Letizia Querci, Adriana Saja, Santina Siracusa, Simona Sforza, Giada Filoni, Maddalena Celano, Beatrice Diana Carli, Roberta Serra, Valeria Vanacore, Claudia Tuzzi, Ornella Urpis, Michela Bianca Nocera, Gruppo Radfem Italia.

A scrivere è un gruppo di donne attente ed informate, molto sensibili alle tematiche trattate in quel testo, solo alcune di noi fanno parte di gruppi femministi, altre hanno semplicemente interesse a manifestare il proprio pensiero e le proprie riflessioni in merito. 

La nostra preoccupazione per i numerosi tentativi di attaccare e ridimensionare i diritti di autodeterminazione delle donne trova fondamento nell’attuale panorama politico italiano e temiamo che quel brano, pubblicato da questa testata, si collochi in questo solco desolante. 

Riteniamo perciò doveroso evidenziare che la legge 194 del 1978, garantisce nel proprio intento essenziale, il diritto fondamentale, da parte delle donne, alla scelta responsabile in materia di gravidanza. L’Italia è uno Stato laico e ciò significa che non è possibile subordinare, in alcun modo, i diritti civili, sociali e politici dei cittadini, a rivendicazioni di ordine moralistico o a istanza di tipo religioso.

Riteniamo l’obiezione di coscienza non un diritto ma un semplice strumento per tutelare un più generale diritto alla libertà morale. Tale strumento risulta comunque garantito dalla Legge 194/78, ma il tenore di questa norma è chiaro: prevede questo strumento, non parificatile ad un diritto soggettivo, entro certi limiti. Questi limiti, tesi a garantire l’effettività della tutela alla libera scelta, sono puntualmente vanificati e la loro vanificazione è sempre impunita poiché la norma è priva di qualunque tipo di sanzione. Di ciò e di altro, approfittano i medici obiettori di coscienza che agiscono irresponsabilmente nel mancato rispetto delle leggi dello Stato. Ed invero, l’obiezione di coscienza è divenuta nel nostro Paese, per l’uso strumentale che ne viene fatto, uno mezzo per svuotare di significato quanto previsto dalla legge in materia di IVG. 

E’ gravissimo che una legge così importante in materia di diritto all’autodeterminazione e alla salute psicofisica della donna, risulti tutt’oggi ostacolata pesantemente, mediante la messa in atto di gravi condotte. Ricordiamo, infatti, che la Legge 194/78 permise alle donne di sottrarsi alle gravi e pericolose implicazioni che il ricorso agli aborti clandestini comportava, senza considerare che solo poche potevano recarsi all’estero e sostenere le spese al fine di interrompere legalmente una gravidanza indesiderata.

La portata normativa della Legge 194/78 è chiara e scandisce il contenuto di un vero e proprio diritto soggettivo. In particolare si tratta di un c.d. diritto soggettivo che trae forza dalla Costituzione, il diritto all’autodeterminazione è un diritto di libertà di rilevanza costituzionale, infatti l’art. 13 cost., nel sancire l’inviolabilità della libertà personale, vuole significare libertà da qualunque costrizione non solo fisica ma anche morale che possa minare l’autodeterminazione del singolo. Si tratta di una libertà nello Stato e dallo Stato, infatti ha un duplice contenuto di segno negativo e positivo: il diritto alla libera scelta della donna e alla non ingerenza in relazione alla autodeterminazione della donna, scelta la cui attuazione ricade sulla sanità pubblica che deve essere garantita e supportata mediante assistenza sanitaria la donna.

I consultori pubblici perciò sono organi deputati a farsi carico degli aspetti psicologici, sanitari, medici, della richiesta che le donne che si rivolgono loro avanzano ed hanno il compito di aiutarle a ponderare tutte le implicazioni di essa. Tutto ciò chiaramente nella massima riservatezza, normata dal decreto sulla privacy 196 del 2003, la cui violazione, soprattutto in materia di salute, comporta importanti conseguenze in ambito giudiziario. Chi vuole rimettere in discussione questo principio di civiltà spesso ignora (consapevolmente) i dati statistici che riguardano tale fenomeno e che soli costituiscono oggetto degno di considerazione, a discapito di speculazioni private, discutibili, di opportunismo politico e che si rifanno ad ideologie integraliste, incompatibili con un ordinamento democratico e laico.

I dati raccolti ed analizzati nel 2016 (resi pubblici nel 2018) dall’Istituto Superiore di Sanità, dal Ministero della salute e dall’ISTAT ci dicono che le IVG sono in costante diminuzione negli ultimi decenni; si parla di una diminuzione del 4,9% rispetto al 1982. Tradotto in numeri significa 80733 aborti volontari contro i 234801. Questo dato, sicuramente positivo, va interpretato alla luce delle percentuali, definibili scandalose in un Paese civile, dei ginecologi obiettori di coscienza. La percentuale media nazionale è del 70% circa, con punte del 93,3% in Molise, dell’80,3% in Campania e in generale una media dell’85% nelle regioni del Sud. Non va molto meglio al Nord, dal momento che nella provincia di Bolzano la percentuale di obiettori si attesta intorno al 92,9%.

Questi professionisti lavorano in ospedali pubblici, di uno Stato che ripetiamo è laico. E’ inconcepibile, pertanto, che siano lasciati liberi di rendere inapplicabile, di fatto, la Legge 194/78, svuotando il contenuto del diritto soggettivo ad accedere ad una IVG legale e sicura e quindi all’autodeterminazione delle donne sul loro corpo. 

Nella Legge 194/78 è la donna ad essere soggetto di diritto, non l’embrione.

I dati sopra riportati evidenziano come il diritto all’autodeterminazione sia violato sistematicamente, soprattutto nelle Regioni dove le percentuali di obiettori di coscienza sul resto del personale sanitario, sono più alte, e per tale violazione purtroppo non esiste sanzione nel nostro ordinamento. 

Da tener conto però che nell’aprile scorso il Comitato Europeo dei diritti sociali, organo giurisdizionale che monitora l’applicazione della Carta Sociale Europea, grazie al reclamo presentato da una ONG (International Planned Parenthood Federation European Network) ha condannato l’Italia per la violazione del diritto alla salute e alla libera autodeterminazione delle donne proprio a causa della mancata applicazione della legge 194, dovuta al massiccio ricorso da parte dei ginecologi alla obiezione di coscienza. Nel contempo si configurano violazioni dei diritti lavorativi dei medici non-obiettori a causa del carico di lavoro e della quasi esclusività dei loro compiti (data la loro esigua presenza) che sono al vaglio delle organizzazioni sindacali.

Alla luce di quanto sopra scritto, ci sembra della massima importanza riflettere sul rispetto di una legge fondamentale per garantire il principio di libera autodeterminazione femminile, al riparo da attacchi veteropatriarcali ormai destituiti di legittimazione da un livello sempre maggiore di consapevolezza delle donne, cittadine, contribuenti e capaci di scegliere in autonomia”.

 

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