Ci sono esperienze impossibili da dimenticare. Una di queste è sicuramente il “Treno della Memoria”, l’iniziativa promossa dalla Regione Toscana. Un viaggio, quello verso i campi concentramento di Auschwitz e Birkenau in Polonia, che vuole far conoscere ai giovani ciò che è successo durante la Seconda Guerra Mondiale, affinché la memoria possa continuare a vivere.
All’edizione 2017, tenutasi dal 23 al 27 gennaio e dedicata a Primo Levi, hanno partecipato 60 insegnanti e 501 studenti provenienti da 59 scuole superiori di tutte e dieci le Province della Toscana e 60 studenti universitari dei tre atenei di Firenze, Pisa e Siena.
Al “Treno della Memoria” di quest’anno hanno partecipato anche alcune allieve e allievi del Liceo Artistico di Sesto Fiorentino e di Porta Romana (dal 2010-11 i due istituti sono associati). Cinque mesi dopo il loro rientro da Birkenau e Auschwitz, gli studenti hanno raccontato la loro esperienza nel corso di un’assemblea andata in scena nella mattinata di martedì 23 maggio nella struttura sestese di via Giusti. Tra i presenti anche Silvia Bicchi, assessore alla scuola e alle politiche educative. “Sono occasioni preziose anche per noi amministratori per conoscere non solo i vostri volti, ma anche le vostre attività – ha detto Bicchi rivolgendosi agli studenti -. L’assemblea d’istituto è un momento importante e vi ringrazio per aver pensato ad un tema così delicato. Spero che questo impegno venga portato avanti in futuro”.
Spazio poi ad un video girato e montato dagli studenti e alle foto. Sia il filmato che le immagini hanno descritto alla perfezione le durissime condizioni di vita dei deportati nei campi di Auschwitz e Birkenau.
“E’ stato un viaggio molto potente da un punto di vista emotivo – ha detto uno studente -. E’ un’esperienza da rifare, non solo per ciò che abbiamo visto, ma anche per le testimonianze. Andare, però, tanto per andare non conta niente, bisogna avere una certa maturità mentale. Ciò che mi ha impressionato di più è stato il silenzio di Birkenau, considerato il cimitero ebraico più grande del mondo. Birkenau sembrava proprio un campo di concentramento. Auschwitz no, sembrava un paesino di campagna. Era dalla terza media che volevo fare questo viaggio, sono partito senza preconcetti. Appena abbiamo visto Birkenau, abbiamo avuto l’impressione di essere travolti da un treno. Sono tornato a casa con rispetto per la vita e per il prossimo. E’ un’esperienza che segna, che andrebbe fatta almeno una volta nella vita. Solo una settimana dopo il viaggio della memoria mi sono reso conto di ciò che avevo visto. Il peggior nemico della memoria è l’ignoranza. Ho sempre pensato che i negazionisti siano dei grandi ignoranti, non uso mezzi termini. Dico a queste persone di staccarsi da internet e dai libri e di fare un viaggio del genere. E’ colpa loro se l’umanità sta andando così male. I negazionisti sono un caso perso, non meriterebbero nemmeno la considerazione“.
“I deportati sono stati ridotti al silenzio una volta tornati in patria – ha raccontato un altro ragazzo -. Chi li ascoltava pensava che raccontassero frottole. Alla fine i deportati hanno avuto ragione. Vivere nel silenzio e da soli una vicenda del genere è orrendo. A chi dice che i campi di sterminio non esistono, dico che basta andare in questi posti e sentire le testimonianze dei reduci. Al giorno d’oggi stanno tornando idee di razzismo non troppo diverse da quelle di tanti anni fa“.
“Il dolore nel vedere questi posti cresce pian piano, quando ti vai a rivedere le foto – ha ammesso una studentessa -. In alcune di esse mi sembrava di rivedere i miei amici. Quando sono tornata a casa non ho parlato del viaggio con i miei genitori, ho avuto bisogno di tempo per metabolizzare quanto avevo visto“.
“Sono partita con molta forza, avevo tanta voglia di conoscere – ha concluso un’altra ragazza -. L’impatto è stato forte, il campo di Birkenau mi ha lasciato un’impronta profonda, forse dettata dalla sua grandezza e dalla temperatura che c’era lì. Camminare in un campo così grande ti spezza la schiena. Non avevo il coraggio di lamentarmi per rispetto delle persone morte. A casa ho avuto il crollo psicologico, mi sono sentita morire dentro. Mi chiedo: ‘come fanno le persone a parlare del più e del meno senza dare peso a simili tragedie?’. Stando in questi posti ci rendiamo conto che i nostri problemi, che pensiamo siano irrisolvibili, sono in realtà delle piccolezze“.
STEFANO NICCOLI