Premessa: questo articolo non parlerà di Sesto Fiorentino nonostante il blog si chiami TuttoSesto.
Giornata molto importante sul piano dei ricordi quella di mercoledì 11 giugno. Si celebrerà, infatti, il trentesimo anniversario della morte di Enrico Berlinguer. Io non c’ero nel 1984, sarei nato solo 6 anni dopo, nel febbraio 1990. La figura dello storico segretario del partito comunista italiano, però, mi ha sempre affascinato e allo stesso tempo incuriosito. Mi sono chiesto spesso: cos’ha avuto di particolare quell’uomo? Perché la sua scomparsa ha rappresentato la fine di un’epoca? Ma soprattutto: perché tante quelle lacrime ai funerali di Roma? Ho cercato di approfondire la questione da amante della storia contemporanea e da studente di scienze politiche quale sono. Mi sono documentato guardando video, vecchie interviste, leggendo libri e chiedendo alle persone che hanno vissuto gli anni di Berlinguer. Enrico era un uomo che credeva alle cose che diceva e faceva ciò che pensava. Anteponeva gli interessi generali – quelli del paese, quelli della gente – a quelli privati e personali. Sono cresciuto in una famiglia… “rossa”. I miei genitori erano a Roma per i suoi funerali ed in casa nostra abbiamo ancora la celebre prima pagina dell’Unità con il titolo “Addio”.
Enrico Berlinguer è stato l’uomo dello strappo da Mosca, dell’eurocomunismo, del mai realizzato compromesso storico, dell’austerity, della questione morale. Ma anche l’uomo che ha anticipato i tempi. Altrimenti non si spiegherebbero discorsi tipo: “I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c’è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico“. Oppure parlando delle nuove tecnologie: “La democrazia elettronica limitata ad alcuni aspetti della vita associata dell’uomo può anche essere presa in considerazione. Ma non si può accettare che sostituisca tutte le forme della vita democratica. Anzi, credo che bisogni preoccuparsi di essere pronti ad affrontare questo pericolo anche sul terreno legislativo. Ci vogliono limiti precisi all’uso dei computer come alternativa alle assemblee elettive. Tra l’altro non credo che si potrà mai capire cosa pensa davvero la gente se l’unica forma di espressione democratica diventa quella di spingere un bottone. Ad ogni modo ripeto: io credo che nessuno mai riuscirà a reprimere la naturale tendenza dell’uomo a discutere, a riunirsi, ad associarsi“.
Se n’è andato durante la campagna elettorale delle elezioni europee del 1984, dopo il comizio di Padova. Le parole di Berlinguer riprese da una telecamera traballante non potranno mai essere dimenticate. L’ictus stava già facendo il suo percorso. Lui, però, voleva terminare il discorso, nonostante i presenti sul palco gli dicessero di smettere. Ci riuscì perché ancora una volta era il bene di tutti a prevalere sull’interesse personale. Addirittura sorrise alle persone che gridavano “Enrico! Enrico!”. Berlinguer era semplice, timido, serio, forse troppo serio. Era la sinistra italiana quando il termine aveva ragione d’esistere. In tantissimi hanno partecipato ai suoi funerali, mai successo per un uomo politico. Nessuno voleva mancare all’ultimo saluto. Anche chi non condivideva il suo pensiero, come l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi. Senza di lui è venuto a mancare un riferimento preciso, netto e raro. L’Italia di adesso, fatta di bunga bunga, tangenti e processi, avrebbe bisogno di un leader magro, semplice e leggero come Enrico Berlinguer.
E’ proprio il caso di dirlo: “Quando c’era Berlinguer”.
STEFANO NICCOLI