Richard Ginori sull’orlo del baratro. La doBank , la società di gestione dei crediti scorporata nel 2015 da Unicredit per diventare proprietà del gruppo Usa Fortress ha riconfermato ieri al Mise la sua volontà di recedere dall’accordo di maggio, rafforzato poi da due mesi di perfezionamento legale, e di non vendere più, come pattuito, alla Ginori i terreni su cui sorge lo stabilimento. La doBank – scrive la Repubblica Firenze – è una società di riscossione crediti che lavorava per Unicredit e che dalla banca ha rilevato il credito di circa 20 milioni derivato dal fallimento di Ginori Real Estate cui appartenevano i terreni scorporati dal marchio delle storiche porcellane comprato nel 2013 dal colosso francese del lusso Kering attraverso al sua controllata Gucci . Lo ha ripetuto ieri al Mise nell’incontro tra ministero, Regione, Comune di Sesto, Richard Ginori spa e banche. Alzando l’asticella delle richieste fino al doppio dei sei milioni per l’acquisto di 100 mila dei 140 mila ettari dei terreni, cifra su cui si era raggiunto una accordo collettivo. Un colpo al cuore della Ginori, del museo di Doccia, a circa 300 lavoratori, al Comune di Sesto, al territorio. Ginori ribadisce di voler continuare a investire oltre gli 80 milioni già spesi nel rilancio dello storico brand, ma non può farlo in uno stabilimento per cui paga 900 mila euro al mese e dove non è sicuro di poter restare. O si acquistano i terreni o si è costretti a chiudere. Un disastro.
“La trattativa – comunica la Richard Ginori – è fallita a causa dell’atteggiamento delle banche creditrici che ha reso vano oltre 18 mesi di trattativa”. L’azienda conferma protrae l’offerta fino al 30 settembre. Ma ribadisce “la necessità di risolvere la questione in tempi celeri, entro il 31 dicembre“. Arrabbiatissimo e deciso a difendere «un pilastro storico del patrimonio economico toscano, come la Ginori dall’attacco speculativo delle società di recupero crediti », il governatore Rossi che dichiara: «Tutti i problemi derivano dalla cessione dei crediti in sofferenza di istituti finanziari verso aziende che operano senza tener conto degli interessi generali del territorio e dei lavoratori, ma cercano di trarre il massimo profitto, finanche a tre volte di quanto pagato con l’acquisizione.
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