E così, dopo tante settimane di forzata clausura, finalmente torneremo a vivere le nostre città. E se fossero cambiate? E se ci ritrovassimo, come Benigni e Troisi, a Frittole? In che anno poi? Sapremo adattarci?
Io intanto vi ripropongo questa realtà della fine degli anni Sessanta… quasi Settanta. Non c’è Leonardo da Vinci ma ci sono Foschino e Pirrino. Per noi sestesi è quasi meglio.
“Gnamo, l’è l’ora d’arzarsi. Chi dorme e un piglia pesci. Su, su, leati da i’ letto e va’ a fa’ colazione mentre i’ tu’ nonno governa gl’uccelli, che poi vu’ dovehe andare insieme a Sesto. Prima di scendere va’ in bagno e laati perbenino che tu c’hai una zia a i’ collo da vergognassi. Sta attento però che l’acqua l’è abbollore”.
Mentre la dice così, la mi mamma l’apre la finestra e la tira su lo stoino, così l’aria fresca e la luce di’ mattino l’entrano nella stanza svegliandomi definitivamente. Stamattina la s’è messa i rulli a i’ capo pe’ farsi la messa in piega. Si vede che la deve andare a Sesto. Per me l’è l’ultima estate prima di entrare a scuola e i’ mi mondo per ora gl’è tutto in Valdirose. Sono nato qui quasi cinque anni fa. Siamo pochi qui in Valdirose, ma si sta bene, poche macchine e tanto verde.
Da giù sale l’odore di’ caffè che la zia la sta macinando. Come a issolito la s’è arzata prima di me. Si dorme nella stessa stanza, la stessa in do’ c’è anche lo zio Lorisse che però a quest’ora gl’è di già a laorare da i’ Conti. Nella stanza di là ci dorme i mi’ nonno Gigi, ma quello gl’è in piedi dalle quattro. L’è appena cominciaha la caccia e lui tutte le mattine va a i’ capanno. Per andare in bagno si dee passare dalla su’ camera. Insomma siamo un po’ fitti. E poi i’ bagno unnè un granché: piccino e senz’acqua. Però i’ babbo gl’ha detto che appena Fosco troa un minuto di tempo lo sistemerà. Fosco gl’è il nostro padron di casa. Laora in comune e fa i’ trombaio. Gli sta accanto a noi insieme a i su’ fratello Romano e alla famiglia di lui. C’è anche la su mamma, l’Ambertina, ma un la ’edo spesso. La sta dimorto in casa quella donna.
“Vieni, t’ho riscardaho i’ latte. Te l’ho messo ni’ bolo, beilo alla svelta sennò si diaccia. Sta’ attento pe’ le scale se tu sdruccioli tu ti fai un occhiello a i’ capo. Quante’ ’orte te lo deho dire di scendere con le scarpe e non co’ i carzini. Sarebbe quasi meglio tu venissi giù scarzo di buccia. alla fine tu scìoli, te lo dico io…”.
Lè la mi zia co’ su’ consigli sensati ma sempre un po’ esagerati. Oddio, una ’orta i’ capo l’ho battuho su i’ serio. E faceo i’ cavallo con la granaha appoggiaha alla ringhiera, ma l’era sciolata e io aveo picchiaho la testa nello scalino. Mi cominciò a sortire i’ sangue e un finiha più. L’ambrogette l’erano dientahe tutte rosse. T’avei core a mettere i’ cotone e i’ diaccio, unni smettea più di colare. I’ babbo un c’ahea ancora la macchina, ci toccò a chiamare Fosco per facci portare a i’ Mayer. Ci rimansi quasi tre ore prime che mi ricucissero. La mi’ zia l’era tutta preoccupata ma quando la m’ha visto la s’e sentiha riavere e la m’ha detto:
“Poerino, chissà quanto t’arai patiho”.
Pe’ colazione c’è una crostata fatta dalla mi’ mamma. L’ha imparaho da i’ Belli a falle. Prima che nascessi. Poi la s’è dovuta mettere a casa pe’ tirammi su, ma ora l’ha intenzione di rihominciare a laorare. Forse la pigliano in una ceramica. si starà a vedere.
“Fa’ un po’ a miccino con quella crostata che l’ha da bastare anche pe i’ tu’ nonno – ripiglia la zia –, tu vedessi quanti storni gl’ha ammazzaho oggi. Se un vu’ dovei andare a Sesto oggi facea una strage. Senti! Quande t’ha’ finiho, che mi vai a pigliare una mezzina d’acqua in corte. E son rimasta senza. Ma sta’ attento a Brio, qui’ cane c’ha i’ cattìo addosso. Se tu troi quarcuno fatti dare anche du’ giuggiole che poi le si mangiano”.
La corte l’è quella di’ Brezza. Ci stanno du’ famiglie. Son parenti della mi’nonna, quella che unn’ho conosciuto perché l’è morta prima che nascessi. Nella prima hasa ci sta Enriho. Tutte le volte che mi ‘ede, mi strofina le nocche su i’ capo e gl’indoina icchè ho mangiaho. Un m’ha mai vorsutho dire come fa. Secondo me mi canzona e basta.
La su’moglie, la Foscara, invece la mi fa un po’ paura. L’è sempre vestiha di nero. La sembra sempre arrabbiaha. I’ su’ figliolo, Maro, dee assomigliare a lei. Ogni tanto fa degli urli che ci fa scappare tutti. Ma alla fine gl’è bono anche lui. Forse gl’è i’ su cane, Brio, che me lo fa sembrare più cattìo. Maro e la Diva c’hanno un figliolo, Giacomo, ma ormai gl’è grande, gl’è difficile che giochi con noi. In quell’altra hasa ci sta Marcello, cugino di Maro. Gli’è sposaho con l’Adriana e c’ha du’ figliole: la Manuela e la Gianna. In casa con loro ci sono anche le due vecchie. Le si chiamano tutte e due ida. Guarda i’ caso.
“Che si pole? Che c’è quarcuno?” Maremma, un c’è nessuno. A me tu mi dei dire come fo a tirà su la mezzina. Mah, io n’empio mezza, poi verrà quarcun artro. Alle giuggiole poi un c’arrìo. Oh ma prima o poi diventerò grande anch’io eh? Un rimarrò miha una mezza sega come ora”.
“Oh nonno, allora? Come l’è andaha oggi?”.
“Eh, nini, ho finiho le cartucce. Ho morto cinquantadu’ storni, tre tordi, du finunguelli e anche tre lodole, ma ho padellaho i’ fagiano. L’ho visto che gl’andaa via di pedina giù pe’ rucello. Son sortiho da i’ capanno quasi a gattoni e poi l’ho fatto volare. Glien’ho sparahe tutte e cinque, ma un l’ho preso. Aimmeno se c’era i’tu babbo. Un capita miha tante ’orte un fagiano a i’ capanno. Ma insomma via accontentiamoci”.
“Senti un po’. Se tu se’ pronto si va. Sennò si fa tardi e un s’arrìa in tempo pe’ desinare. Anda e rianda e ci ’ole un po’ di tempo. Mi deo fermare da Dreìno a comprare le bullette, da i’ Lastrucci a pigliare i’ panìco per gl’uccelli, da i’ Boccia pe’ i’ detersivo e alla coperativa pe’ la frutta. Sai, ier sera lo Zanieri unn’è passaho”.
Lo Zanieri gli’è l’ortolano. C’ha i’ campo vicino alla mi’ nonna Matilde e tutte le sere passa co’ i su’ camionicino per vendere la frutta e la verdura. A vorte mi fa pesare la roba con le stadere, ma un mi riesce tanto bene. Di solito passa subito prima di cena. Ma unnè l’unico ambulante. D’artra parte qui in Valdirose un ci s’ha neanche una bottega e pe’ andare a Sesto l’è lunga. I’ primo che arrìa, la mattina, gl’è Giando, i’ fornaio. C’ha la bottega su’ i’ Casato e fa la su’ gita con l’ape. Un po’ più tardi gl’arrìa il macellaio, Andrea. Lui viene in bicigletta, una borsa di plastica rigida e dentro la ciccia rinvortaha nella carta gialla. Alle cinque arrìa Franco, il lattaio. Vende anche gelati. Ogni tanto me ne tocca uno. Il giovedì dopo desinare passa l’omo che vende i detersivi. Un lo so come si chiama, per me gl’è l’omino di’ giovedì.
“Vieni qui. un tu vorra’ miha andare a Sesto in codesta maniera. Rimbuzzati un po’, chiuditi la bottega, pettinati che tu se’ tutto struffellaho e poi vorre’ sapere quande tu impari a legatti gl’aghetti”.
La zia l’è sempre molto premurosa. La un s’è sposata e la s’è dedicata tutta a i’ nonno e a su’ nipoti, e a me in particolare perché sto in casa con lei.
intanto i’ nonno m’ha montaho su i’ seggiolino e gl’è partiho pe’ Sesto di tutta furia. Gl’è sempre in gamba, i’ nonno, ormai gl’ha più di settant’anni, ma sembra un gioanotto. In bicigletta sale ancora in corsa e nell’orto fa ancora un monte di ’ose. Qualche mese fa m’ha portaho a fare un giro in pantano, ma a i’ ritorno mi sono addormentaho su i’ seggiolino. Quando gl’è arrivato sulla curva della carraia gl’ha cominciaho a urlare perché lo aiutassero. Gl’aveha paura che cascassi. Da casa mia invece gl’urlaano a lui perché ni’ frattempo la mamma l’era cascaha dalla scala e la s’era rotta una spalla. Madonna che casino.
Pe’ andare a Sesto la strada l’è lunga. Subito dopo l’orto si passa i’ ponte su i’ fosso. Un rigagnolo d’acqua sudicia che viene dalla stazione di Rifredi e si butta ni’ Rimaggio. Un giorno la mi’ cugina Ivana la c’è cascaha dentro mentre la cercaa di ripigliare un pallone. Forse l’è sciolata sulla borraccina, sta di fatto che la sortì dall’acqua che l’era tutta nera e la puzzaa come un avello.
Più avanti c’è la “fabbrica”. Noi la si chiama così, ma pe’ la verità l’è solo un deposito di kerosene. Dugento metri più in su c’è la ’asa di’ Bini. L’è una ’asa da contadini. Tante ’orte Moreno e Massimo ci invitano a giocare con le cerbottane ni’ loro granaio o a ammazzare le rucertole con l’archetto. Ci si dierte un monte, però bisogna stare attenti a icchè si fa. Se si rompe quarcosa i su’ nonno, Stefano, gl’è capace di facci sentire la frusta che di solito gl’usa pe’ i’ mulo.
Valdirose per me finisce qui. Poi c’è i’ resto di’ mondo: i’ Balestri, i’ passaggio a livello sulla direttissima pe’ bologna che divide quelli sopra da quelli sotto i’ treno (noi), i’ Casato, co’ primi negozi e poi finalmente Sesto con la piazza della Chiesa. Andare a Sesto l’è sempre una scoperta. Ci si ‘a di rado. Più che altro ni’ periodo di Natale. Mi portano a vedere la bottega della befana che poi la unné che la bottega di Pirrino, pe’ la Strada Nova. Ci stò a ore a guardalla, co’ tutti i’ su balocchi. Alla fine la mi’ mamma la mi dice:
“oh icchè tu pensi, a quattrini di sale? Gnamo tu fa’ la letterina e se tu se’ bono, quarcosa gl’arrìerà”.
Nella bottega di Lastrucci c’è sempre un monte di cacciatori. Sono tutti amici di mi’ nonno, anche perché gl’è lui che gli fa le pratihe di’ portodarmi. Unn’ha miha studiaho i’ mi nonno, però gl’è intelligente e poi gl’ha una calligrafia di perridere.
Oggi in bottega e c’è Renzo, l’infermiere, i su’ fratello Sandrino, i’ Nacco e anche i’ Mariotti. Io vorre’ sapere come fa a essere amiho di mi’ nonno. Lui gl’è un fascistone. C’ha anche i’sidecar. I’ mi’ nonno invece gl’è sempre staho socialista, ma quando Nenni gl’ha diviso i’ partiho gl’è diventato di pisiuppe. Pensa invece i su’ figlioli sono tutti comunisti. Mah, io unn’è che ci capisco un granchè di ’este ’ose.
Dreino c’ha la bottega in Piazza Ginori, vicino a mi’ barbieri: Piero e i’ Pupo. Di solito i’babbo mi ci porta i’ sabato. Son sempre a parla’ di caccia o di calcio. Io fo i’ tifo pe’ Hamrin, ma quest’anno gl’è passaho a i’ Milan; mi sa che diento pe’ quella squadra.
Alla Coppe di piazza Ginori s’è fatto sverti. Un c’era tanta gente. Giusto i’ tempo di pigliare du’ pesche, du’ susine e ripartire. Da i’ Boccia invece un’siamo andahi. I’ nonno o se n’è scordaho o gl’è parso fatiha. Un lo so…
“Oh nonno, venvia, perché un’ si ’a a zonzo pe’ Sesto io e te? Si potrebbe passare da Foschino così tummi compri un duro di menta”.
“Noe. Tu lo sai che la tu’ mamma la mi brontola se ti compro i dorci di mattina. Poi guarda, pe’ desinare sò che l’ha fatto la schiacciaha con l’uva. L’uva me la son fatta dare ieri da Limanne. Tu vedrai come l’è bona”.
Foschino gl’è un vecchino che vende le chicche co’i’ barroccino in piazza di’ Comune la domenica dopo la Messa. Gl’altri giorni invece vende direttamente in casa sua, su i’ Casato. L’è la gioia di noi bambini. C’ha di tutto: caramelle, liquirizie, duri di menta, brigidini. A me però più di tutto mi garba i’ rosolio nelle boccettine di plastica.
Limanne invece gl’è uno de’ contadini di Valdirose. Gli sta vicino alla villa con la su’ moglie Ada e la su’ figliola, Lia. C’ha un bel podere. Ogni tanto si va da lui a pigliare i’ vino. Lo mesce direttamente da i’ tino che tiene nella Villa. La unnè sua la Villa, ma lui fa come se fosse i’ padrone. Arregola gl’hanno daho i’ permesso.
Visto che son tornaho prima di’ previsto ho deciso di andare un po’ nell’orto a fare du’ sarti. Proprio ieri s’è montaho tutta l’attrezzatura pe’ fare i’ sarto in arto. I’ babbo gl’ha preso du’ pali e gl’ha piantahi ni’ prato. Su pali c’ha messo le bullette a cinque centimetri l’una dall’altra, e queste le reggano la canna di bambù che la serve da asticella. I’ materasso un’ ci se l’ha, ma s’è riempiho una decina di balle con de’ cenci vecchi, sicchè un ci si fa male neanche a buttassi.
L’orto gl’è staho ereditato da’ i’ nonno l’anno di là. Gl’è subito sotto i’ fosso. Fino a un po’ di tempo fa gl’era un gran troiaio. C’erano altro che canne, pruni e mori. Ora i’ babbo e gli zii l’hanno ripuliho. Ci seminano le patate, i pomodori, i’ bassilico, i’ ramerino, i petonciani, i treciòli, l’insalata e tante altre cose. Hanno lasciato un unico moro pe’ stare a i’ fresco. Sotto i’ moro si radunano spesso gli amici di’ nonno, ma anche quelli di’ zio Aldo. Oltre che di caccia e di calcio, si parla tanto anche di ciclismo. Tutti gl’anni, quando c’è i’ Giro d’italia si risentano i soliti commenti:
“E un ci sono più i corridori d’una vorta, son tutti degli scarzabubboli. Ora anche ni’ tappone gl’arriano a i’ massimo co’ un minuto di vantaggio. Quando c’era i’ Coppi i minuti si contaano a decine. Potea anche pigliare una cotta, ma i’ giorno dopo tu potei sta’ sicuro, gli daa mezz’ora a tutti. Iohane e un’ ce n’era pe’ nessuno. Ni’ ’52 e viensano anche Kubler e i Koblet ma piglionno dimorta porvere.
E poi che vo’ mettere. Ora le strade le son tutte asfaltahe. Allora e l’erano quasi tutte sterrahe e le gomme se le dovevano cambia’ da soli. Un’ l’arebbano a fare oggi questi damerini co’ i’ meccanico a i’ seguito”.
Ovvia l’è sonaha la sirena di’ Ginori, gl’è l’ora d’andare a mangiare. Tra poco gl’arrìa i’babbo coì i’ su’ betino e anche i’ Conti gl’arà buttaho giù i’ bandone sicchè anche i’ zio gl’arrierà presto co i’ su’ Morini. La mamma l’ha già scolaho le paste. Ma dopo mangiaho si riparte. Magari si va a giocare a i’ pallone a i’ campo d’aviazione o sennò in bicigletta giù pe’ rucello fino a i’ capanno di’ Sarri. Quarcosa si farà. Si potrebbe fare anche la pista pe’ giocare co’ tappini sulla strada. Qui i’ posto pe’ giocare un manca davvero.
DANIELE NICCOLI
Bellissimi ricordi di una Sesto che non c’e’ piu’,con i suoi personaggi e i suoi piccoli negozi.Ci si divertiva con poco ma il tempo volava.Grazie di cuore
Bravo Niccoli