Dalle intuizioni geniali di Carlo Ginori, che nel ‘700 tradusse in porcellana i capolavori della storia dell’arte, alla prolifica creatività di Giò Ponti, che nei primi decenni del Novecento diresse a distanza la manifattura firmando migliaia di piatti, tazzine, servizi, piccole grandi invenzioni, ognuna un capolavoro.
Altro che tazzine della nonna, insomma: frutto di una battaglia civica durata anni, affidato dal ministero della Cultura a una Fondazione, che ora conta pure un inedito “comitato sociale”, il museo Ginori, promette di raccontare ai suoi futuri visitatori “una straordinaria storia dell’arte” e insieme “una straordinaria storia di popolo”, dando conto, insieme alla bellezza delle porcellane, di tutti gli scioperi, le lotte i movimenti dal basso che hanno animato la vita di un’azienda manifatturiera così importante per la storia economica e sociale della Toscana.
E siccome tra lavori di ristrutturazione dello storico edificio e allestimento della collezione il da fare è ancora molto, si parte intanto come si può, cominciando con l’apertura alla comunità del grande giardino che si accompagna al nuovo logo e al primo nucleo del sito (museoginori.org) con foto, storie, podcast, e porte aperte alle idee che ancora una volta arrivano dal basso, dalla comunità locale alle tante associazioni del territorio. “Una bella storia che sta facendo da modello per altre situazioni”, applaude il ministro della Cultura Franceschini citando l’esempio della Fondazione Mitoraj a Pietrasanta che ne seguirà le orme.
“Mi impegnerò perché tutte le risorse necessarie vengano approvate entro la legislatura“, assicura il ministro strappando il sorriso al battagliero sindaco di Sesto, Lorenzo Falchi. Al momento, spiega accanto a loro Tomaso Montanari, orgoglioso “presidente a titolo gratuito” della fondazione nata nel 2019, si sta provvedendo al progetto esecutivo del primo step di lavori, già finanziati con 1,9 milioni di euro, con i quali si conta di ristrutturare i due terzi del pian terreno. Gli altri soldi attesi dal governo serviranno a completare il piano terra e a ristrutturare il primo piano, per poi passare all’allestimento della strepitosa collezione – oltre 8 mila porcellane dal ‘700 ai giorni nostri – e quindi, finalmente, all’apertura al pubblico. “Tre anni a partire da oggi”, si lancia Montanari, che spera poi di acquisire nuovo terreno per fare spazio a laboratori di restauro, uffici, magazzini che nel piccolo edificio non trovano posto.
Ansa