Venerdì 20 maggio abbiamo pubblicato l’articolo relativo allo sciopero delle trecciaiole del 1896 che illustra la situazione di grande disagio in cui si trovavano quelle lavoratrici.
Prendiamo spunto da quell’episodio per chiedere a Daniele Calosi, segretario generale della FIOM di Firenze, un commento sulle condizioni del lavoro in Italia a più di cento anni da quell’episodio.
“Oggi come allora ci si trova drammaticamente davanti ad una condizione oggettiva dei lavoratori, che al di là delle conquiste che sono state fatte negli anni, sta regredendo sui luoghi di lavoro in maniera significativa. Proprio oggi a Roma stiamo discutendo il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, ma non troviamo assolutamente la volontà delle controparti di riconoscere aumenti salariali strutturali in busta paga alle lavoratrici e ai lavoratori, al massimo potrebbero garantire dei benefit di natura aziendale. Una mercificazione del lavoro che noi combattiamo.
Quindi, anche se sono passati più di cento anni dall’episodio descritto nell’articolo, le rivendicazioni sono sempre le stesse: salari maggiori e migliori condizioni di lavoro. Negli ultimi anni il lavoro è stato svuotato della sua connotazione principale: il riconoscimento dei diritti fondamentali che non sono diritti sociali ma diritti civili. Lavorare per un salario dignitoso, non essere licenziati ingiustamente quando e come vuole il datore di lavoro, non essere spiati durante l’attività lavorativa è una questione di dignità. Se tutto questo è successo alcune colpe sono da rintracciare anche nel sindacato che non è riuscito a ricostruire nei lavoratori quella coscienza sociale necessaria a costruire quella stessa forza di reazione che trovarono alla fine dell’Ottocento le trecciaiole di Sesto Fiorentino e del resto della Piana”.
In effetti tra lavoro precario lavori sottopagati, contratti brevi parlare di diritti è arduo. Sentiamo di lavoratori che, per avere la speranza di un rinnovo del contratto, non possono partecipare ad assemblee sindacali, che sono obbligati agli straordinari, che hanno difficoltà anche a chiedere di andare in bagno. Stiamo tornando all’Ottocento?
“Una delle più grandi conquiste sindacali nel secondo dopoguerra è stata quella di superare la sostituzione del cottimo con i contratti nazionali per tutte le categorie. Oggi abbiamo i voucher. Si tratta di una situazione che ci riporta a condizioni come quelle che avevamo nelle fasi immediatamente successive alla rivoluzione industriale. Solo in Toscana nel 2015 sono stati staccati più di 4 milioni di ore di vaucher. Questo significa che i lavoratori sono pagati a prestazione e non attraverso il riconoscimento di un contratto nazionale. Il lavoratore oggi non ha più lo Statuto (che proprio il 21 maggio compie 46 anni) che lo tutela a causa dell’abolizione dell’articolo 18 e la possibilità del demansionamento. Per salvare il posto del lavoro oggi si è costretti ad accettare condizioni salariali e di inquadramento peggiori a quelle che si avevano prima. L’alternativa è il licenziamento. Questi purtroppo sono i contenuti del Job Act. Per questo la Cgil ha proposto i referendum abrogativi su alcuni contenuti del Job Act come ad esempio il licenziamento illegittimo, e l’utilizzo dei vaucher. Chiediamo anche che i lavoratori delle ditte in appalto godano degli stessi diritti dei lavoratori dell’azienda appaltante. Oggi questo non succede e questo vuol dire abbattere i costi dell’appalto sulle spalle dei lavoratori mettendo a rischio anche la loro sicurezza visto che l’Italia è ai primi posti per infortuni e morti sul lavoro”.
“Il Job Act ha determinato la fine del contratto di lavoro a tempo indeterminato. Tutte le persone che hanno attivato un nuovo rapporto di lavoro dopo marzo 2015 non avranno più il tempo indeterminato perché ciò che garantisce l’indeterminatezza è la possibilità che quella persona non possa essere licenziata quando e come vuole il datore di lavoro. Se togli questa tutela il lavoratore diventa un precario perché può essere licenziato in qualsiasi momento. Il governo quindi farebbe bene a dire che il contratto non è a tutele crescenti perché l’unica cosa che cresce è l’indennità economica corrisposta al lavoratore per farlo andar via dall’azienda anche se il licenziamento è illegittimo. Se dai ad un diritto un valore economico, quel diritto è svuotato del suo contenuto. Il diritto non ha prezzo è come un’opera d’arte dal valore inestimabile. I contenuti del Job Act sono questi. A questo dobbiamo aggiungere i provvedimenti di questo governo e di quelli precedenti che ci hanno regalato un sistema pensionistico che nega alle nuove generazioni una vecchiaia dignitosa creando un’idea divisiva del Paese che noi vogliamo combattere. L’errore del sindacato è stato quello di non cogliere il cambiamento che è avvenuto a partire dal governo Monti. La riforma Fornero ha regalato un futuro più povero ai giovani. Questo non è accettabile”.
“Si può concludere quindi dicendo che le cose non sono cambiate molto rispetto alla fine dell’Ottocento. Ai lavoratori i diritti non sono mai stati regalati. Hanno dovuto lottare per conquistarseli. Oggi purtroppo ci troviamo a lottare non per avere migliori condizioni, ma per difendere quelle poche ci sono rimaste”.
A margine dell’intervista Calosi ha preannunciato un incontro tra la Fiom e i candidati sindaco di Sesto Fiorentino. L’obiettivo è quello di confrontarsi sul modello di sviluppo industriale nell’area a nord-ovest di Firenze.
Appuntamento il primo giugno, ore 21.15, all’Unione Operaia di Colonnata.
STEFANO NICCOLI