Più di settemila vittime e 14mila feriti. E’ questo il bilancio del terremoto che sabato 25 aprile si è abbattuto sul Nepal, paese a cui Marco Banchelli è particolarmente legato. In questi giorni il ciclista sestese – nonché Ambasciatore di Pace di Firenze – si è attivato per aiutare le popolazioni colpite dal sisma. Per saperne di più, TuttoSesto lo ha intervistato in esclusiva.
Cosa hai provato quando hai saputo del terremoto in Nepal e da chi hai ricevuto le prime notizie?
“Non abbiano nemmeno un’idea di cosa è ora il Nepal dopo il terremoto. Probabilmente c’era scarsa informazione anche prima del sisma. L’ultimo forte terremoto che si è abbattuto sul Nepal risale al 1934, quindi più di 80 anni fa. Con una scossa dell’8,1 pensavo che il paese fosse stato completamente raso al suolo. La prima violenta sensazione che ho avuto è stata di lutto. La prima notizia buona, però, mi è arrivata dal prefetto apostolico padre Pius Perumana che, tra l’altro, ha trascorso una Pasqua e un Natale a Sesto Fiorentino, ospite della chiesa di San Martino. Lo chiamai un giorno e mezzo dopo il terremoto e sembrava che dovesse rilassare me, non il contrario. Mi diceva che andava tutto bene e che per quanto riguardava la Missione Cattolica, non c’erano stati danni a scuole, alla Chiesa madre dell’Assunzione e alla Casa della Compassione. Inoltre ho ricevuto varie e-mail da amici e collaboratori del mio staff da un po’ sparsi in varie località del Nepal: dal luogo dov’è nato Siddharta, a Lumbini, fino a Pokhara ad est, e poi da Nagarkot ad ovest fino alla stessa Kathmandu. Ed anche loro mi hanno rassicurato su alberghi e soprattutto su ospiti e turisti che non avevano subìto nessun danno”.
Una realtà diversa, quindi, rispetto a quella che ci hanno descritto soprattutto le televisioni in questi giorni.
“Sì. C’era un grande contrasto tra la realtà che stavo vivendo e l’angoscia dei primi servizi televisivi. Torno al discorso iniziale: molti giornalisti hanno trattato male il terremoto perché il Nepal è stato ed è un paese poco conosciuto. Il Nepal non merita un taglio giornalistico così negativo e crudo, come una tragica globalizzazione anche nelle tragedie, nei dolori e soprattutto nelle reazioni che generano. Visto il periodo, è come se i media avessero fatto un Expo del dramma di un popolo. La cosa positiva è che, fino a questo momento, non ho sentito da parte dei giornalisti espressioni del tipo ‘terremoto assassino’. Non è normale colpevolizzare la natura come se questa fosse un killer. Io sto sempre dalla parte della natura”.
Come ti stai mobilitando per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto? Ti sta dando una mano anche Alessandro Martini, direttore della Caritas.
“Sì, anche lui conosce padre Pius Perumana. Quando mi ha telefonato, Alessandro mi ha detto di fare qualcosa insieme. Non so di preciso ancora che tipo di aiuti daremo ai nepalesi, abbiamo bisogno di un po’ di tempo per mettere a fuoco la situazione e ricevere altre notizie. Pochi giorni fa Uttam, un amico nepalese che fa parte di un’organizzazione non governativa, mi ha scritto che interverranno per fornire a villaggi e famiglie i potabilizzatori dell’acqua. E mi sembra uno straordinario obiettivo visti i problemi che comunque l’acqua genera in un paese tipo il Nepal.
In ogni caso, quando si opera nella solidarietà, si è sempre in debito, si vorrebbe fare sempre di più. Ad Alessandro ho suggerito di aspettare a muoversi anche perché la pista dell’aeroporto di Kathmandu aveva subìto danni. Poi risolti. Altro problema potrebbero poi essere gli stessi rifornimenti di carburante per gli aerei, e non solo. Con le strade assai scomode da sempre sulla direttrice India/Kathmandu. A terra, mancheranno anche camion e mezzi per la distribuzione, magazzini di raccolta aiuti di prima, come di ogni, necessità. Altro problema è dato dal fatto che in Nepal, al di là del terremoto, ci sono poche strade. Probabilmente tanto del materiale dovrà essere portato con gli elicotteri. Per il momento non ho ricevuto richieste di aiuti essenziali, nemmeno dai miei amici materialmente “meno fortunati”. Uno di loro, che più che amico è per me come un fratello minore, Jeetbhadur, in attesa di una migliore sistemazione, si è sistemato in una tenda con la moglie e la figlia. Ho potuto parlargli a telefono e stanno tutti bene; l’ho sentito sereno. In fondo, aveva così poco che ha perso ancora meno… Oltre a Martini, sarà in qualche modo ancora al mio fianco anche Patrizio Roversi con i suoi TURISTIperCASO. Anche se questa volta non ci sarà da pedalare a Bologna o magari sulle stesse acque di Kathmandu. Anche se è straordinario continuare comunque e sempre a “pedalare” insieme, in qualche modo. Che gran bella persona! In ogni caso il mio messaggio di speranza è soprattutto questo: aiutare le popolazioni colpite dal terremoto, senza fretta ma continuando nel tempo ad essere presente”.
Cosa vuol dire per te la bicicletta?
“Fino a questo momento è sempre stata come un contenitore. Minimo doveva contenere e sopportare il mio peso che non è poco (ride, ndr). Ho anche portato tante persone sulla canna della mia bicicletta, dalla mamma di mia figlia alla stessa Syusy Blady. Quando ero piccolo, i miei genitori non mi comprarono il motorino e forse questo è stato un segnale. E’ un attrezzo per esprimersi, come il pennello per un pittore. Una penna o una tastiera per uno scrittore. Ho fondato anche una specie di movimento di filosofia della bicicletta, una vera e propria “ciclosofia”. Dalla stessa amicizia con Patrizio e Syusy e dalle puntate in Nepal di TURISTIperCASO come in Australia per VELISTIperCASO, è anche nato il gruppo più o meno virtuale di ‘Ciclisti per caso’. Come lo erano le pedalate per le famiglie per le vie di Sesto, è un modo di promuovere l’utilizzo della bicicletta nella vita di tutti i giorni. Magari anche con una certa protezione e sicurezza”.
Non hai paura a viaggiare per questi posti in bicicletta?
“No. Se uno è allenato, fisicamente e mentalmente, dovrebbe sapere cosa lo aspetta. Quando mia figlia era piccola, avevo assai più paura ad andare da Sesto a Firenze che in Nepal, su per l’Himalaya o in ogni altra parte del mondo…
Perché il Nepal ti è entrato nel cuore?
“Il Nepal è un posto tranquillo e calmo, la maggior parte dei suoi abitanti non si fa prendere dalla fretta come avviene nel mondo occidentale. E torno volentieri anche perché è un posto di pace, dove convivono senza problemi le diverse religioni. In Nepal è come se viaggiassi nel tempo. Pensa che nel 2008 ho vissuto perfino il passaggio dalla monarchia alla repubblica. Nonostante ciò i nepalesi non hanno ucciso il loro ultimo re – e avrebbero potuto avere anche delle ragioni per farlo -ma l’hanno tenuto lì, non l’hanno mandato in esilio come successe in Italia. L’ultimo monarca ha ancora la sua casa residenziale, mentre le sue terre sono finite al popolo. I nepalesi hanno dato un segnale di civiltà veramente forte. Da cui sarebbe bello imparare. Tornando al terremoto, vorrei dire questo: il sisma potrebbe esser stato anche un bene per il Nepal per ritrovare equilibrio e calma. Kathmandu è diventata una città frenetica, con un ritmo simile alle grandi metropoli. Nessuno viaggia quasi più in bicicletta. Ed anche mantenere unito un gruppetto di ciclisti-turisti sarebbe stato ancora più difficile e rischioso. La città era diventata un caos di motori e scarichi anche da prima del terremoto. Senza mancare di rispetto al dramma di morti e villaggi e case distrutte, il terremoto potrebbe anche rappresentare un’occasione di ricostruzione anche più intelligente e vivibile, per il futuro. Non c’è ombra di dubbio ad affermarti che se sono l’uomo che sono, lo devo principalmente al Nepal. Sono e sarò sempre in debito con questo paese. Speriamo solo di riuscire a rendergli qualcosa. Anche se temo che più avrò la sensazione di rendere, più continuerò a ricevere… Fare solidarietà è il Gioco più bello della vita. Un “gioco” con la G maiuscola!”
Qui sotto vi proponiamo alcuni link. I primi tre sono dei video:
ISHALAYA 2013: Marco Banchelli sulle strade del Nepal su una BalleroBike
Nepal 1998: “Shuttle Bike in Himalaya con Marco Banchelli
Everest, Nepal 1992: oltre il campo base in bicicletta (Marco Banchelli a Uno Mattina)
Ishalaya – “Base Camp” solidarity
STEFANO NICCOLI