“Cinesi e polacchi minacciano gli Stradivari italiani”. Titolava così La Stampa di lunedì 14 novembre in riferimento alla diversità dei prezzi dei violini e degli altri strumenti ad arco prodotti dalle grandi fabbriche straniere e dai liutai italiani.
Come si legge nell’articolo di Sandro Cappelletto “se un violino cinese costa cento euro, ce ne vogliono diecimila per acquistare un nostro strumento”. Nel pezzo troviamo anche le parole del grande violinista Uto Ughi: “I migliori strumenti devono avere le caratteristiche della voce umana: quando accade, si dice che uno strumento ‘canta’. Per la bellezza del suono, gli italiani hanno ancora il primato assoluto”. A lanciare l’allarme è Antonio Piva, presidente di Cremona Fiere: “Le altre nazioni fanno sistema, mentre da noi manca il lavoro di squadra, ognuno gioca per conto suo e la sua capacità organizzativa d’insieme è scarsa. Di fronte ad una competizione molto agguerrita, diffusa ovunque, dalla Cina alla Romania, dalla Polonia agli Stati Uniti, noi non siamo ancora in grado si produrre lo strumento da studio, da noleggio, affidabile ma accessibile, proposto ad un prezzo che non spaventi le famiglie, diventando così un ulteriore volano per la nostra economia”.
Per fare chiarezza su questa vicenda, tuttosesto.net ha chiesto in esclusiva l’opinione al maestro Fabio Chiari, presidente della Scuola di Liuteria toscana Fernando Ferroni di Sesto Fiorentino:
“In relazione all’ultimo articolo pubblicato su La Stampa riguardo all’invasione dei violini di fabbrica cinesi e dei paesi dell’est, mi sento in dovere, come presidente della Scuola di liuteria toscana nonché liutaio professionista iscritto all’Anlai (Associazione Nazionale Liuteria, ndr) e riconosciuto dalla regione Toscana, di intervenire sull’argomento.
L’articolo su La Stampa è solo l’ultimo di una lunga serie di articoli che negli ultimi tempi sono apparsi sulla stampa nazionale nei riguardi di questo problema, ma la questione è assai più complessa di quanto sembri e va affrontata con cognizione di causa altrimenti si rischia di fare solo polverone senza arrivare a toccare le questioni davvero importanti. Mi preme sottolineare il fatto che io già oltre dieci anni fa, quando facevo parte dell’Ali, denunciai in un’assemblea pubblica tale situazione, ma le mie parole caddero nel vuoto. Ora tutti dicono quello che dicevo io allora, per fortuna ci sono i filmati di Youtube che testimoniano che avevo già capito il problema quando tutti mi prendevano in giro.
Cominciamo col dire che, durante il periodo classico, era usanza che il maestro ‘sfruttasse’ per così dire gli allievi che lavoravano nella sua bottega e facesse loro confezionare strumenti ai quali apponeva il proprio nome, questo avveniva fino a che gli allievi non si affrancavano con la presentazione alla corporazione cui appartenevano del loro “capolavoro”, dopo di che potevano aprire bottega per conto loro e firmare i propri strumenti. Tale consuetudine non è quindi commercialmente scorretta ed è giunta fino a noi, dove sta la differenza? Ve lo spiego io. Intanto nel periodo classico le corporazioni richiedevano sì delle tasse altissime ai corporati, ma al contempo li proteggevano con efficacia sia da chi avesse voluto provare a produrre strumenti senza averne il permesso sia dall’importazione di strumenti provenienti dal mercato estero, infine quelli che in passato erano prodotti industriali per i principianti a basso costo, ora, complici le scuole che insegnano la costruzione ad allievi di quei paesi sopracitati, tali strumenti stanno via via migliorando in qualità tanto da divenire concorrenziali. Oggi la situazione è questa. Molti sedicenti liutai, che di fatto sono dei falegnami che lavorano a nero, non sono perseguiti dalla legge come dovrebbe essere in ogni paese civile. Molti maestri di musica fanno un commercio illegale (penalmente perseguibile) di strumenti, immettendo sul mercato violini di dubbia provenienza. Molti liutai si sono accorti che lavorare stanca e acquistano in Cina o in Romania strumenti sui quali appongono la loro etichetta, vendendoli come auto prodotti. Molte scuole accreditate insegnano ad allievi prevalentemente stranieri senza tutela alcuna dell’antico sapere che i nostri avi avevano così duramente protetto. Lo Stato vuole solo i soldi e se ne frega dell’artigianato di pregio. Ecco la questione dove sta, nessuno fa fino in fondo il proprio dovere.
La ricetta per la cura di questa sintomatologia complessa non è impossibile da formulare, basta volerlo fare. Io, come presidente della Scuola di liuteria toscana, vi spiego come stiamo facendo per opporsi a questo sfacelo. Formiamo artigiani e poi li coinvolgiamo in un gruppo con un progetto di vendita e promozione a livello internazionale con modelli, colori, legni e tecniche prevalentemente ripresi dai grandi maestri toscani senza dare tangenti a nessuno o cercare scorciatoie, ma cercando di arrivare direttamente ai musicisti che possono così provare loro stessi gli strumenti ed acquistarli ad un prezzo che soddisfi tutti. Ora manca solo che lo Stato faccia il proprio dovere e la faccenda si può risolvere. Gli artigiani italiani non hanno paura di confrontarsi con quelli stranieri, la storia insegna che noi siamo sempre stati in grado di primeggiare, basta fare com’è sempre stato fatto: creare con fantasia e innovazione e la concorrenza scomparirà come neve al sole. Lo stato poi deve decidere: o ci lascia lavorare e difendere l’eccellenza o ci fa chiudere definitivamente e non se ne parla più“.
STEFANO NICCOLI