Il villaggio di Sesto, nel Medioevo si sviluppò intorno alle prime chiese e in particolare a quella dedicata a San Martino. Il territorio era controllato da Firenze attraverso le famiglie dei magnati e la curia vescovile che a Sesto aveva sede nel palazzo presso la chiesa romanica di San Lorenzo al Prato. Non a caso lo stesso santo cui era intitolata la prima sede vescovile fiorentina. Probabilmente si voleva dimostrare che il cordone ombelicale con la città non si poteva spezzare. Per un lungo periodo i vescovi fiorentini imposero alla popolazione sestese un duro regime fiscale e, di conseguenza, una vita dura e piena di stenti. Ciò suscitò il malcontento dei contadini della piana che già nel 1220 si ribellarono al vescovo Marsoppo della Tosa.
La situazione si aggravò̀ nel 1260 quando agli stessi contadini fu richiesta una fornitura eccezionale di grano per l’esercito fiorentino all’epoca in guerra cono Siena. I sestesi, stanchi dei soprusi, si rifiutarono di pagare le tasse al vescovo Giovanni Magiadorii ma guadagnarono solo una scomunica senza, per altro, evitare il conflitto.
La contrapposizione fra guelfi e ghibellini aveva ormai raggiunto livelli inimmaginabili, ma alle questioni ideologiche si sovrapponevano, come quasi sempre succede, ragioni economiche ben precise. Tra senesi e fiorentini per esempio in gioco c’erano il controllo della via francigena e i contrastanti interessi dei banchieri delle due città.
Nella guerra che si era combattuta nel 1255 i senesi avevano avuto la peggio ed erano stati costretti a firmare un accordo che li impegnava a non ospitare gli esiliati ghibellini di Firenze. Già nel 1258 però i patti erano stati infranti e le operazioni belliche erano ricominciate coinvolgendo soprattutto le roccaforti della Maremma. Nei primi mesi nel 1260 le truppe fiorentine si accamparono alle porte di Siena, ma in maggio furono costrette a interrompere l’assedio. Quasi in contemporanea, grazie all’appoggio che i ghibellini senesi ottennero da parte del re Manfredi, Montepulciano e Montalcino caddero in mano ghibellina.
Era un affronto che i fiorentini non potevano accettare e così un nuovo esercito (quello sostenuto anche dal grano sestese) si mosse verso Siena e si accampò nei pressi del fiume Arbia il 2 settembre. I due eserciti si scontrarono il 4 settembre in località Montaperti. Dopo alcune fasi alterne della battaglia, nel pomeriggio i senesi sferrarono una vigorosa offensiva. In contemporanea, Bocca degli Abati, seppur ufficialmente al fianco dei guelfi fiorentini, s’avvicinò al porta stendardo fiorentino, Jacopo de’ Pazzi, e gli tranciò di netto la mano che reggeva l’insegna. Ciò provocò sconcerto fra i fiorentini che iniziarono a ripiegare ma furono bloccati sul fiume Arbia e uccisi in gran numero.
Ond’io a lui: “lo strazio e ‘l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio” (Dante Alighieri)
Nella storia della battaglia s’inseriscono le storie dei combattenti, primo fra tutti Bocca degli Abati, forse un infiltrato ghibellino nelle fila guelfe oppure, più banalmente, solo un uomo geloso dell’amore fra Jacopo Pazzi e Cecilia Gherardini.
Singolare però è anche la storia di Aldobrandinus de Sexto, Braculo da Querceto e Jacopo Alberti che pur facendo parte di quel popolo così vessato dalle tasse, decisero di combattere con i guelfi fiorentini. I primi due erano palvesari (cioè reggevano il grande scudo recante il simbolo della città), mentre il terzo era cavaliere a difesa del carroccio.
Chissà qual è stato il loro destino.
Speriamo migliore di quello di Sesto che, dopo aver contribuito al foraggiamento dell’esercito fiorentino, dovette subire anche le devastazioni dei vincitori ghibellini.
DANIELE NICCOLI
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