La parola all’avvocato: lo smart working non esonera dall’obbligo di green pass

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Dopo qualche mese di pausa, torna l’appuntamento con la rubrica “La parola all’avvocato” curata dagli avvocati Elisa Baldocci,Maria Serena PrimigalliMarco Baldinotti e dalla dottoressa Martina Pernici. Quest’ultima ha scritto l’articolo che vi proponiamo qui sotto. L’argomento è il green pass nell’ottica dello smart working.

I lettori potranno porre domande che ritengano di comune interesse scrivendo alla mail del nostro giornale: [email protected].

 


Dal 15 ottobre scorso è divenuto obbligatorio il Green Pass nei luoghi di lavoro. La certificazione verde andrà esibita al fine di accedere a tutti i luoghi di lavoro. L’obbligo include anche i lavoratori domestici (come colf e badanti). Si tratta di una regola valida per tutti i lavoratori: dipendenti pubblici e privati, nonché lavoratori autonomi, personale di mense e asili nido aziendali.

Il Green Pass mostra l’interesse (e la speranza) del Governo verso una maggiore copertura vaccinale per il Covid 19. Tuttavia non può essere escluso e preventivato un aumento esponenziale del numero dei tamponi nelle 48 ore al fine di ottenere la certificazione temporanea anche in assenza di vaccino da parte di tutti quei soggetti che non vogliono o possono vaccinarsi.

L’entrata in vigore della norma non ha, di fatto, portato eccessivi problemi o esigenze organizzative per le aziende, le quali hanno risposto in modo soddisfacente alla nuova normativa. Soltanto alcuni casi particolari sono emersi quali possibili nodi da risolvere nell’immediato futuro. Anche se limitati, tuttavia, tali “ostacoli” non sono affatto marginali e potranno dar causa all’incremento dei ricorsi giudiziali da parte dei lavoratori cosidetti “no-vax”.

Tra le fattispecie che hanno destato alcuni dubbi di risoluzione vi è in primo luogo la possibilità per il lavoratore privo di certificazione verde di svolgere le proprie mansioni da casa, tramite la modalità lavorativa in smart-working. Negli ultimi due anni il lavoro agile è stato applicato in maniera molto elevata e, nonostante la recente scoperta, si è pensato di considerarne un’applicazione duratura, anche se part time. Nonostante la riconosciuta utilità del lavoro da remoto non ne è opportuno e auspicabile un uso assorbente e totale; in tal senso va anche la risposta del Governo tramite le Faq pubblicate sul sito internet istituzionale in relazione all’interrogativo sulla possibilità di svolgere le proprie mansioni in smart-working per coloro che non hanno entrambe le dosi di vaccino: il lavoro agile non può essere utilizzato allo scopo di eludere l’obbligo del certificato. Ciò vale a dire che il lavoratore non munito di green pass non potrà pretendere di svolgere la propria attività da casa, anche se l’obbligo della certificazione è previsto per l’accesso ai luoghi di lavoro, che in caso di smart-working non avviene.

Se prima dell’entrata in vigore dell’obbligo (15 ottobre 2021) il lavoratore già svolgeva le proprie mansioni per parte dell’orario settimanale da casa, l’assenza ingiustificata da mancanza di green-pass si verificherebbe unicamente per i giorni di lavoro nei quali il soggetto è tenuto a recarsi in ufficio o nella sede aziendale. Mentre per la parte di lavoro da svolgersi in presenza al lavoratore non è dovuta la retribuzione, per la parte di lavoro che è programmaticamente prevista da svolgersi da remoto, non occorre il possesso del green-pass, quindi la stessa può essere svolta e completamente retribuita, ottenendo il lavoratore come risultato, una prestazione e una retribuzione part-time. Nonostante tali deduzioni siano pacifiche, non può non sottolinearsi, tuttavia, che per il datore di lavoro potrebbe mancare l’interesse a una prestazione part-time e ritenere vantaggioso e proficuo rinunciare all’intera prestazione: un modello di prestazione ibrido si regge infatti sulla funzionalità reciproca tra la prestazione da remoto e quella in presenza, con la possibilità che, anche in caso di smart-working vi sia l’occorrenza di convocare il lavoratore nel luogo di lavoro per riunioni o altre esigenze; il datore di lavoro potrebbe recedere dal contratto ai sensi dell’art. 1464 c.c., qualora non abbia interesse alla prestazione parziale ancora possibile, di conseguenza il lavoratore perderebbe per intero il diritto alla retribuzione, quale assente ingiustificato, se non munito di certificazione verde.

Un altro punto focale sul quale si è discusso è il diritto all’indennità per malattia del lavoratore sprovvisto di green-pass. L’indennità di malattia presuppone la capacità di lavorare del soggetto (impedita in via eccezionale dallo stato momentaneo di salute dello stesso). Ne consegue direttamente che il lavoratore, senza certificazione verde, il quale abbia dichiarato lo stato di malattia a partire dal 15 ottobre 2021 non avrà diritto ad alcuna indennità, stante l’assenza del presupposto della capacità di lavorare in condizioni di salute. Al contrario il verificato possesso del green-pass non inciderà su chi si trovasse in stato di malattia antecedentemente alla data su detta, il quale potrà continuare a godere del trattamento previsto e ricevere l’indennità.

In conclusione, è utile sottolineare che al datore di lavoro per far fronte alle esigenze organizzative con la conversione in legge del DL 127/2021, sarà data la possibilità di non effettuare i controlli nei confronti dei lavoratori che forniscano una copia del green-pass al datore di lavoro. Già da ora è invece possibile, ai sensi dell’art. 3 DL 139/2021 chiedere al dipendente di dichiarare il mancato possesso della certificazione. Dichiarazione che il dipendente ha l’obbligo di dare per non incorrere in responsabilità per inadempimento.

Dottoressa MARTINA PERNICI

 

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