L’emergenza Coronavirus impatta ancora in maniera importante nei confronti dei cittadini della Toscana. Seppure i dati relativi all’infezione stiano migliorando, la fase 1 non può dirsi conclusa. Sono lì a dimostrarlo i numeri giornalieri dei tamponi positivi, dei ricoverati e, purtroppo, delle morti. Eppure è necessario pensare anche a come far partire e poi a gestire la fase 2. Anche in questo caso il supporto di medici e ricercatori sarà fondamentale.
Di questo e altro abbiamo parlato con Paolo Bonanni, professore ordinario di Igiene generale e Applicata dell’Università degli Studi di Firenze.
Cominciamo con il fare il punto della situazione: in che fase siamo dell’epidemia per quanto riguarda la Toscana?
“Il numero dei casi totali oscilla di giorno in giorno in base al numero dei tamponi effettuati. La maggiore disponibilità degli ultimi giorni ci consente di effettuarne di più e di conseguenza di trovare un maggior numero di positivi. A mio avviso non è quindi il dato più importante per capire l’andamento dell’epidemia. Molto più utile è il conteggio dei ricoveri totale e dei ricoveri nei reparti di terapia intensiva. Sono tutti numeri in riduzione negli ultimi giorni. La Toscana potrebbe essere un po’ più indietro nella curva discendente rispetto alle altre regioni ma è pur sempre in discesa. Non a caso si sta prospettando la fase due“.
Il numero dei tamponi eseguiti è da considerarsi sufficiente oppure, come si reclama da più parti, era ed è necessario farne di più?
“Più tamponi si fanno, più riusciamo ad identificare anche i casi asintomatici o paucisintomatici che sono i diffusori del virus nella comunità. Un dato preoccupante, che conferma la necessità di utilizzare le mascherine e di mantenere le misure di distanziamento sociale, si riferisce a quelle persone che a distanza di due-tre settimane dalla scomparsa dei sintomi risultano positive al tampone. Questo significa che la guarigione clinica non corrisponde alla guarigione virologica e che queste persone, pur guarite, continuano a trasmettere il virus. Non sappiamo quante persone abbiano queste caratteristiche, ma il solo fatto che ce ne siano ci conferma che non dobbiamo abbassare la guardia e mantenere le misure di contenimento ancora per tempi abbastanza lunghi“.
Potrebbe esserci una correlazione tra Coronavirus e caldo?
“Abbiamo questa speranza, ma non ci sono ancora dati scientifici certi. Non sappiamo se il virus si diffonderà meno facilmente quando ci saranno trenta gradi e anche di più. Lo scopriremo solo in estate. Potrebbe favorirci, piuttosto, il fatto che vivremo meno in ambienti chiusi“.
In Toscana è partita la campagna per i test sierologici. Ci spiega qual è quello adottato e qual è il grado di affidabilità?
“I test servono possono servire a capire quante persone hanno avuto l’infezione nelle settimane precedenti. Il test, infatti, diventa positivo solo dopo che l’organismo ha iniziato a produrre gli anticorpi contro il Covid. I test sierologici rapidi hanno un’affidabilità ancora tutta da verificare. Una persona potrebbe aver superato l’infezione da un punto di vista clinico e produrre anche risposta anticorpale, ma non è detto che sia negativa al tampone. Il test sierologico, quindi, non ci indica necessariamente che l’infezione sia superata. Gli anticorpi di classe IgM, da questo punto di vista, sono meno affidabili perché sono i primi a comparire dopo l’infezione. Le IgG compaiono, invece, in una fase più avanzata, ma anche la loro presenza non ci permette di dire che la malattia sia superata. I test poi devono avere una loro affidabilità o, meglio sarebbe dire, sensibilità e specificità. La prima è la capacità d’identificare correttamente i malati. Un test è poco sensibile quando evidenzia pochi falsi negativi. La sensibilità dei test rapidi non sembra altissima, 65-70%, ma i dati pubblicati sono pochi. Il vero problema riguarda la specificità, cioè quante persone risultano positive al test benché non abbiano avuto nulla. I cosiddetti falsi positivi. Proprio su questo la striscia IgM sembrerebbe essere meno affidabile della IgG, ma, ripeto, abbiamo solo dati preliminari. I test hanno il vantaggio della semplicità:il sangue viene estratto da un capillare pungendo il dito di una persona, viene messo nella ‘saponetta’ e dopo dieci minuti si legge il risultato.
Ci sono anche i test più lenti in cui l’azione dell’anticorpo è più prolungata nel contatto con l’antigene e che di conseguenza sembrano essere più affidabili. In questo caso viene fatto un prelievo e l’analisi viene condotta in laboratorio. Insomma non si deve fare di tutta l’erba un fascio“.
Perché l’Istituto Superiore di Sanità non ha ancora validato un kit valido per le indagini a livello nazionale e che possa fornire dati omogenei, confrontabili fra di loro?
“E’ difficile capire e mettere insieme tutte le corrispondenze che ho citato prima. Ci sono molti dati che devono essere ancora verificati. Piuttosto ho l’impressione che le regioni stiano puntando sui test degli anticorpi, ma che lo facciano in maniera scoordinata. Un’alleanza interregionale ci avrebbe, forse, fatto capire più velocemente il grado di affidabilità dei test sierologici. Si viaggia in ordine sparso“.
Il governatore Rossi sostiene che grazie ai test sierologici potremo avere una patente di immunità, il dott. Brusaferro dell’Istituto Superiore di Sanità, viceversa, sostiene che “non ci sono le basi tecnico scientifiche per dare patentini di immunità”. Come può districarsi il comune cittadino fra queste dichiarazione così contrastanti?
“Penso che il cittadino debba porsi in maniera positiva rispetto a queste opportunità. Se la Regione gli propone di farsi, ad esempio, il test sierologico veloce, il cittadino deve considerarla come una buona occasione. Se il test è negativo probabilmente non ha contratto l’infezione, se invece il test è positivo è opportuno approfondire la situazione con un tampone. Capisco quindi che il professor Brusaferro non possa fornire il patentino perché non ha ancora a disposizione dati precisi, ma allo stesso tempo penso che un test possa essere utilizzato per aumentare la probabilità di tenere a casa persone che, non sapendolo, sono contagiose. L’utilità dei test, quindi, io comunque la vedo soprattutto nell’utilizzo in categorie che per ora sono state considerate poco. Ci servirà anche a capire quant’è la circolazione occulta del virus”.
Prima parlava di fase due: secondo Lei siamo pronti?
“Una pre fase due è già iniziata perché alcune aziende sono già ripartite con la loro attività. Spero che all’inizio di maggio la curva epidemica sia ulteriormente abbassata in modo tale da garantire la riapertura di altre attività. A quel punto sarà importante la responsabilità sociale di tutti quelli che ricominceranno a lavorare. I lavoratori dovranno mantenere le prescrizioni. Misureremo il nostro grado di maturità. Niente sarà come prima, almeno fino a quando non avremo il vaccino. Solo allora torneremo a vivere come prima. La speranza è che il virus non cambi troppo velocemente. Mi è piaciuta molto una battuta che ho ricevuto via Whatsapp: gli anti vaccinisti ci volevano far credere che i vaccini non servissero. Guardate cosa succede a non averne uno. Immaginiamo se non avessimo avuto tutti gli altri vaccini che tengono liberi da un sacco di malattie da cui saremmo continuamente colpiti se non venissero somministrati. Chi è contro i vaccini è un pazzo furioso”, non c’è altro modo per definire l’antivaccinismo“.
A proposito degli studi sui vaccini, cosa ne pensa di quello portato avanti dall’IRBM?
“Ci sono almeno venti vaccini in studio. I princìpi su cui si basano a volte sono diversi: l’RNA, le proteine ricombinanti, altri ancora su virus chimerici in cui l’antigene si innesta sull’Adenovirus. Gli studi sull’uomo sono appena iniziati. Per ora stanno valutando la loro sicurezza, poi si passerà all’efficacia. Ci vuole tempo“.
Mi farebbe piacere che fosse lei a tirare le conclusioni con un messaggio ai nostri lettori.
“Siamo stati catapultati in una sorta di film catastrofico. E’ un’esperienza di cui faremo tesoro. Spero che questa emergenza faccia maturare il nostro senso civico. Concludo sottolineando questo concetto: non disperdiamo le poche risorse disponibili per cose futili. Investiamo di più sul sistema sanitario, soprattutto in termini di prevenzione e presidio del territorio. Tante persone sono morte negli ospedali perché non c’è stata una sanità territoriale e preventiva sufficientemente sviluppata. I fondi per il Sistema Sanitario Nazionale sono stati tagliati per più di vent’anni, è l’ora di cambiare direzione“.
STEFANO NICCOLI