Non vogliono la luna, ma una casa. E’ la richiesta dei cento migranti somali ospitati, da giovedì sera, all’interno del palazzetto dello sport “Vinicio Tarli di Sesto Fiorentino. Rischiano, però, di non essere accontentati. Solo nove, in possesso di titolo richiedente asilo, troveranno una collocazione stabile nel sistema Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) del Comune di Firenze. Tutti gli altri saranno sistemati provvisoriamente a piccoli gruppi, ma solo per il periodo dell’emergenza freddo.
Domenica 15 gennaio, ore 10. Ci sono sei gradi, tira vento. Dopo aver fatto colazione, quattro-cinque migranti si concedono una sigaretta fuori dal palazzetto dello sport, gli altri sono dentro, dove – ci spiega la Misericordia – è vietato scattare foto e registrare video. Alcuni dormono ancora, altri sono in procinto di svegliarsi, altri ancora giocano a carte per ingannare il tempo.
Chiediamo di poter parlare con qualcuno. Dopo pochi minuti di attesa, ci avviciniamo a Abdellah, Abshir e Malik. Sono stanchi e hanno gli occhi tristi. Non potrebbe essere altrimenti. Mercoledì sera la loro ‘casa’, l’ex Aiazzone in via Avogadro all’Osmannoro, ha preso fuoco e nell’incendio ha perso la vita un loro compagno di sventura, Alì Muse, rientrato nel capannone per cercare di recuperare i documenti che l’avrebbero ricongiunto alla moglie e alle figlie. Tentativo inutile e tragico, purtroppo.
“Sono qui dal 2008, sono solo. – ci dice Abdellah, 24 anni, timido e di poche parole – Non mi piace stare qui in palestra, è un posto brutto. Aspettiamo lunedì per sapere cosa ne sarà di noi. Per ora non c’è stata nessuna risposta. Sono già passati quattro giorni dalla tragedia. Chiediamo rispetto, siamo stanchi, in questi anni siamo andati avanti di sgombero in sgombero. La notte di mercoledì è stata bruttissima, un nostro fratello è morto. Conoscevo bene Alì”.
“Siamo stanchi di essere considerati stranieri – aggiunge Abshir, 26 anni, molto bravo con la lingua italiana. – E’ necessario trovare una soluzione. Noi vogliamo vivere in pace e in libertà, alla pari degli altri migranti. Siamo scappati dalla guerra, ma qui non abbiamo neanche una casa. Siamo giovani e vogliamo andare a scuola per imparare. Sono arrivato in Italia quando avevo 19 anni e sono solo. Sono due anni che con i miei compagni ci troviamo in questa situazione precaria. Il Comune di Sesto deve trovare una soluzione, per ora non c’è stata risposta. Vogliamo vivere come gli italiani, anche loro una volta sono stati emigranti. Vogliamo dignità e diritti”.
“Sono arrivato in Italia il 15 agosto 2013. Vogliamo una casa, l’aspettiamo da tempo. Con una casa possiamo vivere bene. Non vogliamo macchine, non vogliamo soldi, solo una casa“. Ha la voce spezzata e gli occhi lucidi Malik, 31 anni, nel ripetere questo concetto.
In Somalia è in corso una guerra civile dal 1991. Qualcuno di questi ragazzi non ha mai vissuto in pace.
STEFANO NICCOLI