12 giugno 1944 – L’eccidio di Radio Co.Ra.

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Sesto giorno per giorno la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro Sesto una bella storia e Sesto Fiorentino, i giorni della nostra storia

Fatti e date che caratterizzano la storia e la cronaca della città di Sesto.

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l’anima che hai (Francesco Guccini)

12 giugno 1944 – L’eccidio di Radio Co.Ra.

 La caduta di Mussolini del 25 luglio 1943 e, ancora di più, la firma dell’armistizio con gli alleati dell’8 settembre successivo, spinsero le forze antifasciste alla riorganizzazione. Durante il Ventennio, infatti, solo il Partito Comunista era riuscito a mantenere un’organizzazione clandestinaadeguata e preparata alla lotta armata.

Nei mesi dell’invasione nazista a Firenze, così come in altre parti d’Italia, si dimostrò particolarmente dinamico il Partito d’Azione nato nel 1942 nella casa romana dell’avvocato Federico Comandini. Nel nuovo partito confluirono gli esponenti di Giustiza e Libertà, il movimento politico fondato quindici anni prima da Carlo Rosselli. Il proposito era di riunire sotto un’unica bandiera tutto l’antifascismo non comunista e non cattolico.

A Firenze uno dei principali esponenti della nuova formazione politica fu Tristano Codignola che in seguito all’uccisione del filosofo Giovanni Gentile fu molto critico nei confronti dei partigiani autori dell’attentato.

Il Servizio Informazioni del Partito d’Azione fiorentino fu invece diretto da Carlo Ludovico Ragghianti e da Enrico Bocci. Quest’ultimo, insieme a Italo Piccagli, diede vita all’emittente clandestina Radio Cora (Commissione Radio) che aveva il compito di tenere i contatti tra la Resistenza Toscana e gli alleati. Ne facevano parte una ventina di collaboratori, tra cui Enzo Enriques Agnoletti e Giuliano Calcini, che, mediante una ricetrasmittente inglese, riuscivano a fornire agli alleati informazioni riguardanti i movimenti delle truppe tedesche. Grazie alle indicazioni fornite dal gruppo, il 2 maggio 1944 gli alleati riuscirono a paracadutare alcuni soldati nelle vicinanze di Prato. Secondo la testimonianza di Gilda La Rocca fu grazie alle trasmissioni di radio CoRa  che fu possibile bombardare l’armata Goering che si stava trasferendo a sud sulla linea di Cassino. Le trasmissioni della Radio, che si aprivano con una frase convenzionale

L’Arno scorre a Firenze

iniziarono a fine gennaio 1944. Per evitare la localizzazione la sede della Radio fu continuamente spostata. La trasmissione di prova fu condotta dalla sede della casa editrice Bemporad in via de’Pucci, ma l’emittente fu subito spostata in piazza Indipendenza per poi trovare la strada delle case di Bocci, Piccagli, del professor Piero Pieraccini e di tanti altri. Nonostante le precauzioni il 7 giugno 1944 i nazisti individuarono la sede provvisoria dell’emittente e irruppero nel palazzo al numero 12 di piazza d’Azeglio mentre era in pieno svolgimento una trasmissione. Il giovane radiotelegrafista, Luigi Morandi, nel disperato tentativo di difesa riuscì a uccidere un soldato tedesco ma fu a sua volta ferito a morte. Gli altri elementi del gruppo, Enrico Bocci, Carlo Campolmi, Maria Luigia Guaita, Guido Focacci, Giuseppe Cusmano, Franco Girardini e Gilda La Rocca, furono arrestati, condotti a Villa Triste e barbaramente torturati dagli uomini della banda Carità. L’avvocato Bocci probabilmente non sopravvisse. La sua segretaria, Gilda La Rocca, e il dottor Giuseppe Scotti che furono tra gli ultimi a vederlo dichiararono in seguito di averlo trovato irriconoscibile. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.

Poche ore dopo l’irruzione di piazza D’Azeglio il capitano dell’Aeronautica Italo Piccagli, nel vano tentativo di scagionare gli altri, si consegnò ai fascisti. Il 12 giugno 1944 lo stesso Piccagli, quattro paracadutisti, e un partigiano cecoslovacco furono portati in un bosco, in prossimità di Cercina, e fucilati. Per rappresaglia nei confronti del fratello Enzo, e per la sua attività diretta nella Resistenza, fu uccisa anche Anna Maria Enriques Agnoletti. A lei è intitolato il Liceo Scientifico di Sesto Fiorentino.

Gli altri elementi del gruppo furono deportati in Germania. Gilda La Rocca, e Maria Luigia Guaita riuscirono a scappare dal treno che li stava conducendo in Germania.

Così si espresse Piero Calamandrei durante il processo alla banda Carità:

Se voi sarete deboli e accomodanti, se vi verrà fatto di dire che dopo dieci anni tutto si dimentica e tutto si accomoda, vuol dire che anche voi sarete entrati, che anche noi tutti saremo entrati nel giro infernale, in questa mortale insensibilità che non distingue più tra bene e male, tra vittime e carnefici, tra dannazione e virtù

 

La Banda Carità

 Mario Carità di fu Gesù, ovvero l’abito non fa il monaco. Un nome incredibile per un trovatello che sarebbe diventato un feroce torturatore, assassino e criminale di guerra.  Fu un fascista della prima ora e incallito delinquente. Arrivò a Firenze da Milano spacciandosi come rappresentante di apparecchi radio che in realtà aveva derubato. Aprì un laboratorio di riparazioni in via Panzani che gli servì per denunciare i clienti che incautamente gli riferivano di ascoltare Radio Londra. Grazie a questi ‘servizi’ entrò a far parte dell’OVRA, la polizia segreta fascista. Dopo l’armistizio fondò il Reparto Servizi Speciali divenuto tristemente famoso come Banda Carità. Di essa facevano parte avanzi di galera riabilitati dalla Repubblica Sociale. La prima base della squadraccia si trovava in una villetta di via Benedetto Varchi requisita a una famiglia ebrea. Dopo alcuni spostamenti la banda approdò al numero 67 dell’attuale Largo Fanciullacci, una palazzina che gli stessi aguzzini chiamarono Villa Triste. Della banda facevano parte anche due preti: il cappellano delle SS, don Gregorio Boccolini e Alfredo Epaminonda Troya. Quest’ultimo, mentre avevano luogo le torture, copriva le urla dei prigionieri, suonando il pianoforte e intonando canzoni napoletane. Lasciò la banda per seguire a Roma e Milano un altro spietato torturatore fascista, Pietro Kock. I componenti della banda si distinsero, per ferocia e malvagità. I metodi per estorcere le confessioni erano particolarmente crudeli. Si andava dalle torture psicologiche che impedivano il sonno, ai pestaggi. Se la confessione non arrivava, si passava alle scariche elettriche applicate ai genitali e alla eradicazione delle unghie con le pinze. Nell’estate 1944, con l’avanzare degli alleati, la Banda Carità dopo aver rapinato la Banca d’Italia e saccheggiato la sinagoga fiorentina, si trasferì a Padova. In Veneto la banda continuò la spietata attività fino alla Liberazione. Vistisi perduti i componenti della Banda scapparono verso il Brennero. Nel maggio dello stesso anno Mario Carità fu sorpreso e ucciso da una pattuglia americana presso una pensione di Castelrotto. Il 25 settembre 1945, diciannove dei componenti della banda furono giudicati dalla corte d’Assise di Padova. Furono comminate quattro condanne a morte, ma solo Antonio Coradeschi fu giustiziato. Le altre condanne furono commutate e nel 1964 i reati commessi furono dichiarati estinti. Gli altri imputati e condannati a pene minori erano già liberi nel 1955. Altri elementi della Banda Carità furono processati il 23 aprile 1951. I venti ergastoli inflitti in primo grado furono trasformati in trenta anni di carcere. Padre Troya, rifugiatosi in Argentina, fu processato e condannato a ventotto anni, ma ne scontò solo sette. Nel 1953 era già un uomo libero.

Daniele Niccoli

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