Là, dove c’era il verde, ora c’è… l’università… e tra poco l’aeroporto

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Là, dove c’era il verde, ora c’è l’università… e tra poco l’aeroporto.

Parlo di Val di Rose, località amena solo nel nome e sconosciuta ai più, anche sestesi. Eppure c’è stato un tempo in cui quel piccolo nucleo di case esprimeva un patrimonio di umanità confrontabile, per esempio con quello di via del Corno di pratoliniana memoria.

Son passati cinquant’anni, ma sembrano di più, vista la devastazione a cui è stata sottoposta. Ci sono nato e ora mi fa quasi pena tornarci. Il verde ha lasciato il posto a edifici brutti e spesso incompiuti. L’università è il centro del sapere, ma chi l’ha costruita non ha dimostrato di aver appreso molto.

 

Val di Rose deve il suo nome ad un’antica villa restaurata proprio dall’Università, ma quasi totalmente inoccupata.

Negli anni ’60, in pieno boom economico, intorno a questa villa vivevano ancora molti contadini, gente semplice come quella delle povere case circostanti. Chi era fortunato aveva la stufa a kerosene e il pozzo per l’acqua.

La semplicità di quel mondo è riscontrabile anche, e soprattutto, nei nomi di chi, quelle case, abitava. Rivisitati oggi fanno sorridere.

Alcuni erano ripresi da opere liriche come Norma e Fedora, altri nascevano dalla speranza del sol dell’avvenir come Marusca, Sonia, Ivana, Ivano, altri erano particolari e basta: Egidio, Maro, Fosco, Loris, Isaia, Podrecca, Wais, Liman, Cherubino, Lola, Anita, Foscara, Albertina, Umberta, Pia, Nara, Maresca, Amelia, Rosa e, soprattutto, Corallina. Me la ricordo, la Corallina, sempre a sedere a cucire o ricamare. Mai troppo lontano dalla casa vicino alla curva carraia

Per arrivare in Val di Rose partendo dal centro di Sesto non c’era che una possibilità: da piazza della Chiesa si percorreva via Galilei, più comunemente conosciuta come il Casato. In prossimità della Ragnaia, non ancora giardino, ma già ex parco della villa Guicciardini, si doveva superare il passaggio a livello sulla direttissima Firenze-Bologna. Da quel momento ci si trovava sotto i’ treno. Dopo la bottega di Delfo, il Balestri, poi ancora cinque-seicento metri di niente. O meglio, di campi, di alberi e di lucciole quando, d’estate, sopraggiungeva la sera. Infine un piccolo ponte sul canale di cinta orientale e, finalmente, Val di Rose. Gli orti, le case, le coloniche, le aie, i pozzi e anche tanti animali. Brio, il setter di Maro, il mulo di Stefano di Bini, il ciuco di Pierino Sarri, le mucche nella stalla di Liman, i conigli dello zio Aldo, polli, tacchini e anatre un po’ dappertutto. Auto? Pochissime. Tra le prime mi ricordo la Millecento di Maro e l’Ottocentocinquanta di Fosco. Lo zio Egidio invece viaggiava ancora con il calesse. Qualche volta mi portava a Sesto. Io ero l’addetto alla martinicca.

Nell’aia dei contadini annualmente si svolgeva il rito della battitura. Mi ricordo quella dei Sarri (Vasco e Pierino). Sotto un sole cocente gli uomini prima preparavano la bica del grano e poi lo gettavano nella battitrice. Nel frattempo le donne bandivano le tavole, quel giorno particolarmente ricche. Spesso dalla Castellina scendeva frate Carmelo per la benedizione del raccolto.

Non c’era neanche una bottega. Mezzi pubblici neanche a parlarne. Per fortuna c’erano loro, i venditori ambulanti: Giando, il fornaio, Franco, il lattaio, Andrea il macellaio e Romano l’ortolano. Avevano gite fisse e quotidiane. Più sporadicamente si vedevano l’ombrellaio, l’arrotino con le loro biciclette, il merciaio, con la prima station wagon (ma si chiamava familiare) che io abbia visto e il furgone pieno di detersivi dell’omino del giovedì (non ho mai saputo come si chiamasse).

E i bambini? I veri padroni di quel mondo. Ce lo potevamo godere tutto praticando giochi ormai scomparsi: sbarbacipolla, il nonnino dell’aceto, telebandia, mammatroia, il cibbè, la cerbottana, la campana, il buongioco. Tanti ginocchi sbucciati, qualche scappellotto dalla mamma e si ripartiva. La televisione? Non ne sentivamo la necessità. Giusto Topo Gigio e il mago Zurlì nel tempo della merenda con pane, vino e zucchero.

Non poteva rimanere così.

Non doveva finire così.

Invito il prossimo sindaco a fare un giro in Val di Rose. Troverà spunti per il suo lavoro: l’Università scollegata da Sesto, l’area destinata al nuovo aeroporto, le strutture del CUS semi-abbandonate e Val di Rose completamente disastrata. Buon lavoro.

TUTTOSESTO

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