16 settembre 1327 – Esecuzione di Cecco d’Ascoli

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Berta

Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri 

Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza   (Dante, Inferno, canto XXVI)

16 settembre 1327 – Esecuzione di Cecco d’Ascoli

Francesco di Simone Stabili, detto anche Cecco d’Ascoli, era il medico di corte del duca Carlo di Calabria, podestà di Firenze nell’anno 1327. Come tutti i d’Angiò, Carlo, era paladino del guelfismo e all’epoca era impegnato nella guerra contro la ghibellina Lucca e il suo signore Castruccio Castracani.

In quel momento di grande incertezza politica ritenne opportuno ricorrere ai consigli del massimo esperto di astrologia: Cecco d’Ascoli. Un grande osservatore della volta celeste convinto che dalle stelle dipendessero anche la nascita e la diffusione delle malattie e per questo considerato anche medico. La benevolenza del Duca gli attirò però l’ostilità di molti cortigiani e anche del celebre medico fiorentino Dino del Garbo.

Le sue inimicizie aumentarono a causa di alcuni incauti apprezzamenti contenuti nei suoi scritti. Famoso è per esempio il giudizio su Dante contenuto nella sua opera più famosa, l’Acerba:

Qui non si canta al modo delle rane
Qui non si canta al modo del poeta
Che finge, immaginando, cose vane;
Ma qui risplende e luce ogni natura
Che a chi intende fa la mente lieta (Cecco d’ Ascoli)

L’immobilismo del Duca di Calabria nella lotta contro Castruccio fu alla fine attribuito alle troppo caute previsioni dell’astrologo e fu così facile per i suoi avversari politici farlo processare per errori contro la fede. Il medico, interrogato su tutti i capi di accusa, rispose sempre con la stessa frase:

l’ho detto, l’ho insegnato e lo credo

Alla fine fu condannato al rogo. L’esecuzione fu eseguita il 16 settembre 1327 in Piazza Santa Croce. Secondo una leggenda, mentre il carro del condannato passava davanti alla Chiesa di Santa Maria Maggiore, Cecco avrebbe chiesto un po’ d’acqua. Dalla finestra del campanile, però, il prete ammonì chiunque dal versare da bere per non conferire all’alchimista il potere del demonio.

“Se beve, non brucerà più” disse il prete.
“ E tu non leverai mai la testa di lì” rispose il condannato

Passeggiando per via Cerretani, alzando la testa all’altezza della Chiesa,
è possibile verificare che la testa pietrificata del prete non si è mossa.

Naturalmente, come in altri casi, esistono anche altre leggende che spiegherebbero la presenza di quella testina di marmo sulla parete della Chiesa. Non ultima quella della cavolaia Berta che avrebbe lasciato in eredità alla Chiesa di Santa Maria Maggiore i soldi per acquistare una campana che avvertisse i fiorentini che era l’ora di rientrare perché le porte della città stavano per chiudere. Insomma un modo per avvertire gli interessati che eravamo

Alle porte co’ sassi

Daniele Niccoli

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