Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri
Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno
Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza (Dante, Inferno, canto XXVI)
17 giugno 1971 – Il più lungo giorno
Quando nel 1913 Dino Campana incontrò Giovanni Papini e Ardengo Soffici per proporre le sue poesie era, artisticamente parlando, uno sconosciuto. I suoi versi avevano trovato spazio soltanto su un giornale goliardico bolognese.
Si rivolse ai fondatori de Lacerba con fiducia che sentiva rafforzata da una lontana parentela con Soffici cui consegnò il manoscritto Il più lungo giorno. Le sue speranze però erano malriposte tanto che la sua opera, non solo non fu presa minimamente in considerazione, ma non gli fu neanche restituita.
Più volte minacciò di tornare a Firenze con il coltello per farsi giustizia, ma non ottenne nessuna risposta. Al di là della carenza di intuito critico da parte dei due poeti fiorentini, certo a Campana non giovò il titolo di “pazzo” che si era guadagnato presso i familiari e i concittadini di Marradi.
A determinare la sua instabilità psichica furono soprattutto i difficili rapporti con la madre che non lo aveva mai accettato. Dino diventò un problema per tutti i familiari che non a caso, intorno al 1907 sfruttando il fascino che su di lui suscitava l’idea del viaggio, lo imbarcarono per l’America del Sud.
Campana possedeva uno strano passaporto che gli permetteva di andare solo a Buenos Aires e così il viaggio a Montevideo che dà il titolo a una delle sue più belle poesie rimase solo un sogno e ben prestò tornò in Europa. Fu ricoverato in un ospizio in Francia e poi a San Salvi prima di essere rispedito dai parenti che non volevano più sentir parlare di lui.
Io vidi dal ponte della nave
I colli di Spagna
Svanire, nel verde
Dentro il crepuscolo d’oro la bruna terra celando
Come una melodia:
D’ignota scena fanciulla sola (Dino Campana)
Nel 1914, ormai convinto di non poter più recuperare il manoscritto consegnato a Soffici, riscrisse tutto affidandosi alla memoria. L’opera, stampata a sue spese, prese il nome di Canti Orfici, ed è riconosciuta come una delle più importanti opere di poesia del Novecento.
Il vecchio manoscritto su cui il poeta riversava tante speranze fu ritrovato fra le carte di Soffici il 17 giugno 1971. A darne l’annuncio fu un altro poeta, campione dell’ermetismo fiorentino, il sestese Mario Luzi. Intanto Dino Campana, dopo 14 anni di internato, era morto nell’ospedale psichiatrico di Castelpulci a Scandicci.
Daniele Niccoli
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