Sesto giorno per giorno la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro Sesto una bella storia e Sesto Fiorentino, i giorni della nostra storia
Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.
La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l’anima che hai (Francesco Guccini)
Sesto giorno per giorno
4 settembre 1260 – Sestesi alla battaglia di Montaperti
Il villaggio di Sesto, nel Medioevo si sviluppò intorno alle prime chiese e in particolare a quella dedicata a San Martino di cui si ha memoria fin dall’anno 868. Per gran parte del Medioevo il territorio fu controllato dalle famiglie magnatizie fiorentine attraverso la curia vescovile che a Sesto aveva sede in un palazzo presso la chiesa romanica di San Lorenzo al Prato. Non a caso lo stesso santo cui era intitolata anche la sede vescovile fiorentina. Probabilmente era un modo per dimostrare che il cordone ombelicale con la città non si poteva spezzare. Per un lungo periodo i vescovi fiorentini imposero alla popolazione sestese un duro regime fiscale e una vita piena di stenti. Ciò suscitò il malcontento dei contadini della piana che già nel 1220 si ribellarono al vescovo Marsoppo della Tosa.
La situazione si aggravò̀ nel 1260 quando agli stessi contadini fu richiesta una fornitura eccezionale di grano per l’esercito fiorentino all’epoca in guerra cono Siena. I sestesi, stanchi dei soprusi, si rifiutarono, almeno inizialmente, di pagare l’ulteriore obolo al vescovo Giovanni Magiadorii ma ci guadagnarono solo una scomunica senza, per altro, evitare il conflitto e il tributo.
La contrapposizione fra guelfi e ghibellini era ormai all’apice. Alle questioni ideologiche si erano sovrapposti, come spesso succede in questi casi, ragioni economiche ben precise. Tra senesi (ghibellini) e fiorentini (guelfi) erano in gioco il controllo della via francigena e gli interessi finanziari contrastanti dei banchieri delle due città.
Nella guerra che si era combattuta nel 1255 i senesi avevano avuto la peggio ed erano stati costretti a firmare un accordo che li impegnava a non ospitare gli esiliati ghibellini di Firenze. Già nel 1258 però i patti erano stati infranti e le operazioni belliche erano ricominciate coinvolgendo soprattutto le roccaforti della Maremma. Nei primi mesi del 1260 le truppe fiorentine si accamparono alle porte di Siena, ma in maggio furono costrette a interrompere l’assedio. Quasi in contemporanea, grazie all’appoggio che i senesi ottennero da parte del re Manfredi, Montepulciano e Montalcino caddero in mano ghibellina.
si trattava di un affronto che i fiorentini non potevano accettare e così un nuovo esercito (quello sfamato anche dal grano sestese) si mosse verso Siena e si accampò nei pressi del fiume Arbia il 2 settembre. I due eserciti si scontrarono due giorni dopo in località Montaperti. Dopo alcune fasi alterne della battaglia, nel pomeriggio i senesi sferrarono una vigorosa offensiva. Fu in quel momento che il fiorentino Bocca degli Abati, si avvicinò al suo porta stendardo, Jacopo de’ Pazzi, e con un colpo di spada gli recise la mano che reggeva l’insegna. L’inaspettato tradimento provocò sconcerto fra i fiorentini che si ritirarono fino al fiume Arbia dove furono bloccati e uccisi in gran numero.
Ond’io a lui: “lo strazio e ‘l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio (Dante Alighieri)
Le vicende della battaglia, rese epiche dal Sommo Poeta, sono fatte anche dalle storie dei singoli combattenti. Bocca degli Abati, per esempio, è considerato un infiltrato ghibellino nelle fila guelfe, ma c’è chi sostiene che il gesto che capovolse la battaglia fosse solo quello di un uomo accecato dalla gelosia per l’amore che era scoppiato fra Jacopo Pazzi e la sua amata Cecilia Gherardini.
Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste?
se tu non vieni a crescer la vendetta
di Montaperti, perché mi moleste (Dante Alighieri)
Singolare è anche la storia di Aldobrandinus de Sexto, Braculo da Querceto e Jacopo Alberti che, pur facendo parte del popolo vessato dalle tasse vescovili, decisero di combattere a fianco dei guelfi fiorentini. I primi due erano palvesari (cioè sostenevano il grande scudo recante il simbolo della città), mentre il terzo era cavaliere a difesa del carroccio.
Chissà qual è stato il loro destino.
Speriamo migliore di quello di Sesto che, dopo aver contribuito al foraggiamento dell’esercito fiorentino, dovette subire anche le devastazioni dei vincitori ghibellini.
Daniele Niccoli