28 febbraio 1829 – L’ultima recita di Luigi Del Buono

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Teatro di Borgognissanti

Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri 

Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza   (Dante, Inferno, canto XXVI)

28 febbraio 1829 – L’ultima recita di Luigi Del Buono

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento quando ormai la commedia dell’arte aveva vissuto i suoi anni migliori, a Firenze nasceva il personaggio di Stenterello, cioè colui che vive di stenti e tira avanti a fatica. Il suo ideatore fu Luigi Del Buono un orologiaio con la passione del teatro che in età giovanile aveva cominciato a frequentare la compagnia di Giorgio Frilli che recitava al teatro del Cocomero.

Nel 1782 decise di vendere la sua bottega e di dedicarsi in maniera professionale al Teatro. La sua fu una lunga carriera che si chiuse solo il 28 febbraio 1829 con l’interpretazione del Padre giudice del proprio figlio omicida. Nel 1793 nella commedia Florinda e Ferrante, Principi di Gaeta con Stenterello buffone di corte fece la sua prima comparsa la maschera fiorentina.

Le caratteristiche salienti del personaggio erano una palandrana di color azzurro lunga fino al ginocchio, con la scritta ‘posa-piano’ e le calze di colore diverso ma preferibilmente a strisce. L’abbigliamento era completato da un cappello a tricorno e il lungo codino alla moda settecentesca. Stenterello rappresentava l’incarnazione del popolano chiacchierone, furbo, irriverente, pronto a schierarsi con il più debole ma impacciato per la tremarella che lo coglieva nei momenti più importanti. La sua comicità era spesso basata su giochi di parole e scioglilingua che oggi fanno pensare a Maurizio Crozza e la sua interpretazione di Matteo Renzi:

Oh, amore, amaro,
amare è mera mira
e miri i mari e i muri

M’inchino fino all’imo
e il primo imprimo nella mente dell’amante:
si rammenti i miei tormenti
non mai spenti anzi spanti

Pur non essendo mai stato particolarmente volgare il solo uso del vernacolo gli valse le critiche degli accademici della Crusca:

Stenterello costituiva l’altra faccia, quella plebea,
di quella lingua toscana, letteraria,
che ormai si era affermata come unica italiana

La critica non fu tenera nei suoi confronti, ma ben altra considerazione e successo ottenne dal pubblico:

dal palcoscenico Stenterello lanciava frizzi e motti scevri però di volgarità,
tanto che famiglie intere assistevano al suo spettacolo (Pellegrino Artusi)

DANIELE NICCOLI

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