6 settembre 1924 – Capo Cervo Bianco alla Richard-Ginori

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Sesto giorno per giorno la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro Sesto una bella storia e Sesto Fiorentino, i giorni della nostra storia

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l’anima che hai (Francesco Guccini)

Sesto giorno per giorno

6 settembre 1924 – Capo Cervo Bianco alla Richard-Ginori

In una vicenda che ha come protagonista uno dei più grandi bugiardi della storia, mi scuserete se la data citata rischia di non essere precisa. Di sicuro stiamo parlando della fine dell’estate del 1924 perché sappiamo con certezza che il 2 di settembre il principe pellerossa White Elk fu ospite dell’hotel Baglioni. Lo testimonia un trafiletto di giornale che lo descrive in piazza dell’Unità d’Italia intento a ripetere un gesto per lui consueto: distribuire denaro alla folla:

Uscito verso le 9 dall’albergo, il principe ha estratto manciate di biglietti da 50 e 10 lire, che distribuì ai più vicini. Naturalmente la folla non tardò a crescere ed in breve il donatore è stato completamente attorniato. Le banconote furono esaurite ben presto ed il principe è salito in automobile allontanandosi dopo qualche sforzo

Ma chi era White Elk? Per quello che se ne sapeva all’epoca, si trattava di un capo tribù di nativi americani cui gli Stati Uniti avevano sottratto oro, petrolio e diamanti. In Italia si era presentato come paladino di tutti gli Indiani d’America e sembrava disporre di ricchezze incommensurabili. Fu molto prodigo nei confronti di chi aveva subìto danni durante la Prima Guerra Mondiale e di alcune federazioni provinciali fasciste così da ingraziarsi il nascituro regime. In cambio ottenne la tessera del Partito Nazionale Fascista ad honorem ed ebbe modo di incontrare industriali, attori famosi e uomini politici. Il 28 di agosto avrebbe dovuto incontrare anche Mussolini, ma secondo le cronache (posteriori) tale incontro sarebbe saltato per un imprevisto dell’ultimo minuto.
Sarà stato per il suo fascino esotico, sarà stato per la sua proverbiale generosità, sta di fatto che il 4 settembre la sezione del Partito Nazionale Fascista di Sesto Fiorentino gli fece recapitare un invito:

Questo Direttorio vi saluta e invia una commissione per esprimervi tutta la nostra ammirazione e simpatia e invitarvi a venire a visitare questa cittadina e le sue industrie di ceramica e di parlarvi delle condizioni di questo fascio.

Le fotografie dell’epoca testimoniano la visita ai magazzini della manifattura. Capo Cervo Bianco viene immortalato mentre sfila, fiero, con un costume che poi risulterà acquistato ai magazzini Lafayette di Parigi. Secondo quanto scritto da Fedora Giordano nel 1994 su RSA Journal, direzione e maestranze gli fecero recapitare un bel regalo:

Durante una visita a Firenze, la fabbrica Richard-Ginori ha presentato “Sua Altezza” come lo chiamano attualmente) con il suo ritratto in una statua di porcellana a grandezza naturale

Di questo busto non ho trovato traccia. D’altra parte sarà stato un pezzo unico.
Nel frattempo fu organizzato un incontro con il Papa, ma Pio XI alla fine si limitò a far recapitare al capo indiano due foto autografate. Fu quello il punto più alto della parabola di Cervo Bianco. Da quel momento la sua vicenda umana precipitò fino a portarlo al carcere e al manicomio.
Per capire i motivi di questa rapida fase discendente è necessario fare qualche passo indietro.
Cervo Bianco, alias Tewanna Ray, si chiamava in realtà Edgar Laplante ed era nato nel 1888 a Rhode Island in Canada da una nativa americana e un muratore bianco. Giovanissimo aveva intrapreso la carriera di attore e, dopo un matrimonio in America e uno in Inghilterra, aveva fatto sosta a Nizza dove ebbe la fortuna di incontrare le due contesse Kevenhuller, Melania e Antonia, che, affascinate dal personaggio, diventarono le sue finanziatrici. Questo almeno fino al ritorno dall’Africa di Giorgio, il rampollo di casa Kavenhuller che, resosi conto dei gravi ammanchi, cacciò di casa l’imbroglione e gli fece consegnare un foglio di via. Da quel momento la discesa si fece più ripida: fuga in Svizzera, arresto, perizia psichiatrica di personalità mattoide, secondo processo in Italia, pena pesante da scontare nel carcere Le Nuove di Torino. Edgar-Tewanna-Elk si difese sempre dicendo che era un’artista e che stava semplicemente svolgendo il suo lavoro. Non gli credettero e passò molti anni in carcere prima di morire, povero spiantato, nel 1944 a Phoenix in Arizona. La vicenda di Cervo Bianco dimostra quanto gli italiani, poveri e delusi del dopoguerra avessero la necessità di un personaggio autorevole, carismatico e che fosse in grado di sollevarli dalla mediocrità. Credettero in lui così come avevano già iniziato a credere in Mussolini. Agognavano benessere e dignità. Si trovarono nel bel mezzo di una dittatura e pagarono la voglia di essere guidati da un uomo forte e di successo con venti anni di tirannia, una guerra e tanti morti.

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