Agrumi e baracche: viaggio in Calabria tra gli ‘ultimi’ di Rosarno

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Rosarno
Foto di Lorenzo Leonardi

Gli ultimi saranno i primidiceva Gesù Cristo duemila anni fa. Forse sarà così nel regno dei cieli, ma lo scopriremo soltanto…morendo.

Sulla Terra, intanto, le cose vanno in ben altro modo: gli ultimi restano ultimi. Anzi, il distacco dai primi cresce sempre più. I derelitti, i senza tetto, i migranti sono così lontani da noi che ormai non li vediamo quasi più. Rappresentano un aspetto della nostra società che tendiamo a rimuovere come tutte le cose “fastidiose”. Per fortuna esistono ancora associazioni come MEDU (acronimo di Medici per i Diritti Umani) che tengono sveglia la coscienza dell’opinione pubblica sulle condizioni di queste persone impedendo l’oblio totale.

MEDU – si legge sul sito ufficiale  – è una “organizzazione umanitaria senza fini di lucro nata nel gennaio 2004 su iniziativa di un gruppo di medici, ostetriche e altri volontari che ha come obiettivo il portare aiuto sanitario alle popolazioni più vulnerabili e denunciare le violazioni dei diritti umani, in particolare l’esclusione dall’accesso alle cure“.

Dal 2014 gestisce un progetto di sostegno ai lavoratori impegnati nell’agricoltura a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro (Calabria). Si tratta di favorirli nell’accesso alle cure, nella conoscenza e nella piena fruizione dei diritti fondamentali (in particolare il diritto alla salute, i diritti sul lavoro e i diritti alla protezione).

Ma cosa c’entra la piana di Sesto Fiorentino, territorio al centro di interesse per tuttosesto.net, con Rosarno?

La spiegazione è semplice. Un noto pediatra sestese, Enrico Solito, fa parte di quel gruppo di medici ed è tornato proprio pochi giorni fa dalla Calabria.

Prima di riportare la sua testimonianza, abbiamo contattato Lorenzo Leonardi, responsabile del progetto Rosarno per conto di Medici per i Diritti Umani. Le sue parole descrivono in maniera netta e chiara le condizioni dei circa millecinquecento braccianti agricoli (età media pari a 35 anni) provenienti dai Paesi dell’Africa subsahariana occidentale, in particolare Mali, Gambia, Senegal, Ghana e Costa D′Avorio, che abitano la baraccopoli-tendopoli di Rosarno.

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Foto di Lorenzo Leonardi

La nostra organizzazione è nata venti anni fa. E’ specializzata nel supporto alla salute mentale, ma copre anche tutte le varie sfaccettature della medicina generale. Attualmente abbiamo progetti attivi in Ucraina e Niger, mentre sono da poco terminati i progetti in Palestina, Egitto e Sudamerica.

In Italia, invece, lavoriamo dal nord al sud. Operiamo nelle carceri, a supporto dei migranti in Val di Susa, con le cliniche mobili a Roma, Firenze e nella piana di Gioia Tauro dove siamo presenti da dieci anni.

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Foto di Lorenzo Leonardi

La piana di Gioia Tauro è molto ricca culturalmente, ma allo stesso tempo complessa perché si trova vicina al porto e perché ci sono tante persone interessate ad attività più o meno illecite. In questo contesto i migranti lavorano come braccianti agricoli nella raccolta agrumicola da ottobre a marzo. Tale raccolta necessita di un numero elevato di persone. Al momento ne sono impegnate circa millecinquecento e vivono in condizioni disperate. Il disagio abitativo è alto perché i braccianti vivono in tendopoli costruite anni fa prive di bagni e docce. Non so come queste persone continuino ad andare avanti, è l’interrogativo che mi pongo continuamente. E’ inaccettabile che tutto ciò si verifichi sul territorio italiano e che non ci sia alcuna volontà di risolvere la situazione. Nel corso degli anni sono stati spesi quasi dieci milioni di euro di finanziamenti europei per la realizzazione di alloggi che, però, non hanno mai aperto i battenti (i dettagli sono contenuti nel comunicato stampa del 9 gennaio 2024 dal titolo “La beffa di Rosarno”)”.

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Foto di Lorenzo Leonardi
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Foto di Lorenzo Leonardi

In questo contesto noi proviamo a guadare il mare con un cucchiaino. Abbiamo una clinica mobile e un team che coordino composto da una dottoressa, un’esperta legale, un logista e due mediatori culturali. Tre volte a settimana ci rechiamo nei vari insediamenti per vedere se queste persone necessitano del nostro supporto medico-legale. E’ una situazione di cui si parla troppo poco considerando la sua tragicità“.

STEFANO NICCOLI

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