Andrea Lanfri, il campione paralimpico più forte della meningite. Adesso sogna l’Everest e le Olimpiadi

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La sua vita è cambiata poco più di tre anni fa. Era il 21 gennaio 2015 quando Andrea Lanfri, nato a Lucca il 26 novembre 1986, restò vittima di una meningite con sepsi meningococcica. Le conseguenze furono devastanti: perdita di entrambe le gambe e di sette dita delle mani.

La malattia avrebbe messo ko chiunque, ma non lui. Con coraggio, sacrificio, tenacia e forza di volontà, Andrea si è rialzato. Più forte di prima. Ai campionati europei paralimpici andati in scena a Berlino poche settimane fa ha conquistato una medaglia di bronzo nei 200 metri e una medaglia d’argento con la staffetta azzurra nei 4X100. Prestazioni maiuscole quelle di Andrea, presente giovedì 13 settembre a Sesto Fiorentino alla Notte Bianca dello Sport. Tuttosesto.net ha colto l’occasione per intervistarlo.

Una medaglia d’argento, una di bronzo e, purtroppo, anche una di legno in Germania. Bilancio ottimo.
“Ho centrato gli obiettivi che mi ero prefissato. Prima della gara dei quattro ho avuto alcuni problemi tecnici con le protesi. Inizialmente non li volevo correre, ma poi ho cambiato idea. Sono soddisfatto, soprattutto della staffetta“.

A proposito di problemi tecnici: è vero che hai utilizzato protesi diverse rispetto a quelle che usi di consuetudine?
“Il problema non ha riguardato solo me. E’ un problema mondiale: le nuove leggi obbligano gli atleti ad un’altezza più bassa di quella reale. Chi non è molto alto ha problemi nella costruzione della protesi. Le mie risultavano due centimetri più alte rispetto a quest’altezza, quindi non ho potuto utilizzarle. Ho dovuto rimediare con altre protesi che, però, non erano il massimo. Inoltre si è storta una lama”.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi per l’atletica? Se dico Tokyo 2020?
Prima di Tokyo 2020 ho altri progetti. Uno è alle porte. Oltre all’atletica pratico alpinismo. Domani mattina (oggi, venerdì 14 settembre, ndr) partirò per scalare la cima grande di Lavaredo. Sabato la salirò dal versante sud, domenica dal versante nord. L’altro obiettivo di montagna, a gennaio, è la scalata dell’Aconcagua, 6.900 metri, in Argentina. E’ un allenamento in previsione del grandissimo obiettivo: la scalata dell’Everest a maggio, ma ancora non è confermata. Sono in attesa di un supporto economico per questa impresa. Poi, tornando all’atletica, l’appuntamento clou del prossimo anno sarà il mondiale. E’ chiaro che il grande progetto sono le Olimpiadi di Tokyo 2020. Quello sarà un anno dedicato completamente all’atletica“.

Torno a tre anni fa. In tanti non si sarebbero rialzati dopo la malattia. Tu no. Tu non ti sei fermato. Come si fa a ripartire con così tanta forza d’animo?
“Sono più forte di prima. Il primo pensiero era quello di recuperare i cinque mesi persi. Volevo fare un dispetto al destino, in questo caso al batterio. Adesso ci ho preso gusto, non mi fermo più (ride, ndr). Non ho mai pensato di buttarmi giù. Ogni giorno è una sfida”.

Hai mai pensato: ‘Se mi fossi vaccinato’?
“Il mio è stato il primo caso insieme a quello di un altro ragazzo di Firenze, nel 2015. Prima della malattia non sapevo niente. Non mi ero mai posto la domanda: vaccino sì o no”

Cosa ti senti di dire alle persone che non si vogliono vaccinare?
A quelli che mi dicono che non vogliono vaccinarsi posso dire quello che penso realmente: sarebbe una parolaccia (ride, ndr), non ha senso non vaccinarsi, mi limito a questa affermazione. Probabilmente avrei preso la malattia anche se mi fossi vaccinato, ma in forma molto ridotta. Non avrei riportato i danni gravi che ho avuto. Adesso sono felice, ma sono stati mesi dolorosi“.

Che consiglio daresti a chi vuole fare sport?
“Non bisogna mai porsi problemi mentali. Se a uno piace una cosa, la fa e basta, senza pensare agli altri. Io ho dovuto trovare uno stile diverso per arrampicarmi. Se uno vuole, trova sempre il modo di praticare sport”. 

STEFANO NICCOLI

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