Antognoni alla Fiera di Primavera: “La Fiorentina mi aveva promesso un colloquio, ma non c’è mai stato”

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TuttoSesto

“Campioni dell’arte e artisti del pallone”. E’ il titolo dell’incontro a cui hanno partecipato, sabato 30 maggio in piazza Vittorio Veneto in occasione della Fiera di Primavera-Expo 2015, il direttore degli Uffizi Antonio Natali, e lo storico ex capitano della Fiorentina, Giancarlo Antognoni. Tantissime le persone presenti ad ascoltare le parole di un campione che ha fatto innamorare tutti i tifosi viola durante la sua esperienza in maglia gigliata, dal 1972 al 1987. A Firenze, purtroppo, si è tolto poche soddisfazioni: la Coppa Italia nel 1974-75 e la Coppa Anglo-Americana nel 1975-76. Non ha mai vinto uno scudetto. Quello perso ai danni della rivale di sempre, la Juventus, per fatti sospetti al termine del campionato 1981-82 grida ancora vendetta. Nell’ottobre del 1972, il giornalista di Tuttosport Vladimiro Caminiti lo soprannominò “l’uomo che gioca guardando le stelle”. Mai definizione fu più azzeccata. L’eleganza sarebbe stato il marchio di fabbrica di Giancarlo in carriera. E pensare che questa etichetta gli fu data dopo solo una partita giocata in Serie A, quella contro il Verona al Bentegodi il 15 ottobre 1972. In panchina c’era il barone Niels Liedholm, la Fiorentina vinse, ma i complimenti furono tutti per quel ragazzino di diciotto anni con la magia numero otto sulle spalle.

Un rapporto fortissimo lo lega a Firenze. Non a caso, dopo l’addio al calcio nel 1989, Antonio – come lo chiamano quasi tutti i tifosi – ha deciso di restare nel capoluogo toscano. Un feeling particolare perché “l’affetto dei fiorentini vale molto di più degli scudetti”. Il suo ingresso nei quadri dirigenziali del club di viale Manfredo Fanti, alla luce anche di questo legame con la città, sembrava scontato, magari nel ruolo di uomo immagine, un po’ come Javier Zanetti all’Inter. Un sogno destinato a restare tale. I Della Vale gli avevano promesso un colloquio che, però, non c’è mai stato. Nessun dramma, come ha detto Antognoni nel suo intervento, ma il fatto testimonia quanto i rapporti tra l’ex capitano e i fratelli marchigiani siano tutt’altro che idilliaci.

Il primo ricordo del calcio? A 8 anni – ha detto l’unico dieci viola -, quando mi sono trasferito a Perugia con i genitori. La prima partita che ho visto è stata un Bologna-Milan 0-2, la mia famiglia era milanista.

Firenze è una città d’arte ed è difficile scegliere un’opera in particolare. A me piacciono soprattutto il David e la Cupola di Brunelleschi.

Quando ho scelto di diventare calciatore? Non lo si sceglie, lo si diventa. Conta la passione prima di tutto. A 15 anni sono andato a Torino per giocare nell’Astimacobi. Lì hanno iniziato a valorizzare le mie doti. Sono arrivato presto nelle nazionali giovanili, ma ho dovuto fare grandi sacrifici. Nonostante questo, quello del calciatore è il mestiere più bello in assoluto. Quando mi sono accorto di esser diventato un campione? Me lo dicevano gli altri che ero un campione e mi faceva piacere, ma ho sempre cercato di mantenere la mia modestia e la mia tranquillità sia in campo che fuori. Credo che proprio la tranquillità, insieme alla famiglia, sia stata uno dei segreti del mio successo.

Perché ho scelto di restare a Firenze? Tante cose mi legano a Firenze. Il rapporto con la città è stato idilliaco fino dal primo minuto. Ancora oggi raccolgo i frutti che ho seminato quando giocavo. E’ quasi come se giocassi ancora. Questo feeling penso che rimarrà sempre. Rimpiango il fatto che con la Fiorentina ho vinto poco, ma l’affetto dei fiorentini vale molto di più degli scudetti che mi sono lasciato alle spalle.

I migliori e i peggiori momenti della mia carriera? Ho più gioie che dolori. Ricordo volentieri l’esordio in Seria A 18 anni e quello in nazionale a 20. Per quanto riguarda i dolori, ricordo il campionato 1981-82, almeno lo spareggio con la Juventus ce lo meritavamo. Ricordo in maniera positiva anche i recuperi dagli infortuni più gravi che ho subìto, come quello con Martina, portiere del Genoa.

Il gol più artistico? Ricordo con affetto due gol. Uno di testa in tuffo contro la Juventus a Firenze. La partita finì 3-3. L’altro contro il Napoli, quella rete ci permise di raggiungere la Juventus in testa alla classifica. Segnammo in contropiede.

Perché non ho ruolo nella dirigenza della Fiorentina? Ho fatto dieci anni da dirigente. La nuova proprietà (quella dei Della Valle, ndr) ha scelto altre persone. C’è un po’ di rammarico, ma non ne faccio un dramma. Ricopro un ruolo importante nel settore giovanile della FIGC. La Fiorentina mi è rimasta nel cuore, ma vanno rispettate le scelte di chi dirige. Avrei voluto fare un colloquio con la proprietà, mi era stato promesso, ma non c’è stato. Le parole contano poco.

Il numero dieci? Bel numero, ma a scuola non l’ho mai preso (ride, ndr). E’ il mio numero preferito, mi ha dato molto. Altri dieci che ricordo con affetto sono Baggio, Rui Costa e Platini. Chi è il dieci di oggi più simile a me? E’ un calcio diverso oggi, è più fisico, si pensa meno rispetto ai miei tempi. Il dieci di qualche anno fa doveva essere il collante tra difesa e attacco. Il calcio di oggi è più collettivo”.

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Foto: TuttoSesto

STEFANO NICCOLI

 

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