3 agosto 1530 – Battaglia di Gavinana

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Firenze 365

Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri 

Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza   (Dante, Inferno, canto XXVI)

3 agosto 1530 – Battaglia di Gavinana

Dopo mesi di assedio, nell’estate 1530 la Repubblica fiorentina attuò un estremo tentativo per liberarsi dal giogo delle truppe imperiali. Il piano prevedeva un attacco dall’esterno da parte delle truppe del Commissario di guerra Francesco Ferrucci che si trovava a Pisa, mentre il comandante generale, Malatesta Baglioni, avrebbe cercato di rompere l’assedio grazie ad un attacco sferrato da dentro la città. Quest’ultimo però con l’intento di salvare i suoi possedimenti perugini, invece di sferrare l’attacco, propose patti di resa al nemico. Questo permise al comandante delle truppe imperiali, Filiberto d’Orange di abbandonare le alture intorno a Firenze e scagliarsi contro Francesco Ferrucci.

Ahi traditor Malatesta (Francesco Ferrucci)

Lo scontro decisivo avvenne presso il castello di Gavinana. Il primo assalto fu favorevole ai fiorentini. Il principe d’Orange rimase ucciso e le milizie repubblicane ne trassero almeno per un po’, giovamento psicologico. I rapporti di forza però erano troppo squilibrati. Dodicimila uomini contro tremilacinquecento. Al tramonto del 3 agosto 1530 la battaglia si concluse con la sconfitta dei fiorentini. Ferrucci ripetutamente ferito, fu raccolto dalle truppe imperiali nella Capannina sotto il bosco di Gavinana e portato al cospetto di Fabrizio Maramaldo, un soldato di ventura al soldo dell’imperatore che era stato sconfitto qualche giorno prima dallo stesso Ferrucci sotto le mura di Volterra. Nel tentativo inglorioso di vendicare quell’episodio e l’uccisione di un suo messaggero, volle lui stesso sferrare la pugnalata mortale all’inerme commissario fiorentino. La leggenda vuole che in quell’occasione il Ferrucci pronunciasse la famosa frase:

Vile, tu dài a un morto  (Francesco Ferrucci)

consegnandola alla storia.
Il valore del comandante fiorentino sul campo di battaglia, la dignità con cui affrontò la morte e la strenua resistenza nei confronti degli invasori stranieri, gli valsero gloria eterna e il ricordo nell’inno nazionale italiano. Viceversa Maramaldo, per quel suo ignobile comportamento, vide associare per sempre il suo cognome a tutte quelle persone che vigliaccamente infieriscono sui più deboli (maramaldeggiare).

Dall’Alpe a Sicilia
dovunque è Legnano
ogn’uom di Ferruccio
ha il core e la mano (Goffredo Mameli)

Daniele Niccoli

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