Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri
Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno
Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza (Dante, Inferno, canto XXVI)
3 Febbraio 1865 – Vittorio Emanuele II arriva a Firenze
Con la convenzione di settembre, stipulata a Fontainbleau nel 1864 con la Francia, l’Italia s’impegnò a trasferire la capitale da Torino entro sei mesi. Lo spostamento, nelle intenzioni dei francesi, doveva rappresentare la definitiva rinuncia italiana a Roma capitale. La diffusione della notizia dell’accordo causò numerosi disordini a Torino, tanto che, nel febbraio dell’anno successivo, Vittorio Emanuele II fu praticamente costretto a lasciare la città piemontese.
Intorno alle 22 e 45 del 3 febbraio 1865 il re, insieme al presidente del consiglio Alfonso La Marmora, arrivò alla stazione di Firenze. Secondo le cronache ad attenderlo c’erano il senatore Gino Capponi, il gonfaloniere conte Luigi Guglielmo de Cambray Digny e il prefetto Girolamo Cantelli.
Non fu quello il primo soggiorno fiorentino di Vittorio Emanuele II. Dopo i moti del 1821 suo padre, Carlo Alberto di Savoia, probabilmente coinvolto nei disordini, fu costretto a trasferirsi a Firenze dove regnava il suocero Ferdinando III di Lorena. A quel periodo risale un drammatico e oscuro episodio della vita del futuro re d’Italia.
Il 16 settembre 1822 mentre il principe dormiva in una stanza della villa di Poggio Imperiale, la balia, Teresa Zanotti, forse nel tentativo di scacciare le zanzare incendiò inavvertitamente la culla che si trasformò rapidamente in un rogo da cui il piccolo si salvò solo grazie all’intervento della donna che, per quel gesto morì pochi giorni dopo.
Quando anni più tardi furono evidenti le differenze somatiche con il padre, iniziò a circolare la voce secondo la quale in realtà il bambino sarebbe rimasto gravemente ustionato o addirittura morto nell’incendio e comunque sostituito con il figlio di un certo Tanica (altre fonti riportano il nome di Maciacca), un macellaio che proprio in quei giorni aveva denunciato la scomparsa del figlio e che improvvisamente, proprio in quel 1822, rinnovò e allargò la bottega.
La tesi è quanto meno fantasiosa, ma certamente funzionale per spiegare i modi piuttosto grossolani del futuro re e anche la passione, durata più di trent’anni, per la “popolana” Rosa Vercellana. Quando la capitale fu spostata a Firenze anche la Bella Rosina si spostò sulle rive del’Arno insediandosi nella villa Petraia di Castello.
Nel 1869 una brutta polmonite portò il re quasi alla morte, e ciò lo convinse a sposare l’antica amante. Si trattò di un matrimonio morganatico cioè senza l’ereditarietà dei titoli e delle proprietà, ma comunque un gesto d’amore da parte del monarca per altro vedovo da tempo. La bella Rosina comunque non fu l’unica amante di Vittorio Emanuele II. Il Re, anzi, ebbe una vita sessuale molto attiva tanto che il suo primo Presidente del Consiglio ebbe a dire:
Se continua così, più che il padre della patria,
sarà il padre degli italiani (Massimo D’Azeglio)
DANIELE NICCOLI
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