Nuovo appuntamento con la rubrica “La parola all’avvocato” curata dagli avvocati Elisa Baldocci, Maria Serena Primigalli, Enrico Carti e Marco Baldinotti.
Gli articoli saranno pubblicati settimanalmente. I lettori potranno porre domande che ritengano di comune interesse scrivendo alla mail del nostro giornale: [email protected].
Con una recente pronuncia del 9/10/2020 n. 21835 la seconda sezione della Corte di Cassazione è tornata sul tema dell’onere probatorio per il danno subito da un edificio consistente nella mancata o comunque limitata, possibilità di un suo utilizzo.
Più in particolare il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte inerisce ad una richiesta di risarcimento del danno avanzata da due condomini quali proprietari di due locali cantinati, i quali convenivano in giudizio il Condominio dello stabile lamentando infiltrazioni provenienti da parti condominiali.
Gli attori chiedevano quindi il risarcimento del danno per la mancata locazione nel periodo di riferimento, oltre al ripristino dei locali.
Il giudice di prime cure dichiarava che i danni subiti dagli attori all’interno dei loro immobili erano imputabili al Condominio e condannava quest’ultimo al ripristino ed al pagamento di una somma di denaro.
La Corte d’Appello, in parziale accoglimento dell’appello, rigettava la domanda di risarcimento del lucro cessante.
La Corte di Cassazione ha accolto il primo e il terzo motivo di ricorso concernenti il primo l’omissione da parte della Corte distrettuale, della valutazione dello stato di fatto dell’immobile de quo ovvero della inidoneità o meno dello stesso a qualsiasi utilizzo, ed il secondo per aver negato la sussistenza di un danno in re ipsa derivante dalla perdita della disponibilità del bene.
I Giudici di Piazza Cavour hanno richiamato il principio secondo cui “nella ipotesi di occupazione sine titulo di un cespite immobiliare altrui (id est infiltrazioni di acqua derivanti da parte comune di edificio condominiale, come nella specie) il danno subito dal proprietario per l’indisponibilità del medesimo può definirsi in re ipsa, purchè inteso in senso descrittivo, cioè di normale inerenza del pregiudizio all’impossibilità stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l’onere per l’attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l’ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell’immobile, l’avrebbe subito impiegato per finalità produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione (Cass. n. 25898 del 2016; cfr. Cass., sez. un., n. 15238 del 2008)”
L’ordinanza in commento ha quindi affermato che in materia di limitazione abusiva dell’esercizio del diritto di proprietà, il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla mancata libera disponibilità del bene, e dalla impossibilità di conseguire integralmente l’utilità da esso ricavabile.
In applicazione di tali principi la Corte di Cassazione ha quindi cassato la sentenza impugnato per aver confuso e sovrapposto la mancata prova dei tentativi di locare l’immobile, con l’oggettiva inidoneità dell’immobile a qualsiasi utilizzazione; e per aver erroneamente negato la sussistenza di un danno in re ipsa sulla base di indici presuntivi e della natura fruttifera del bene.
Avv. Enrico Carti