Nuovo appuntamento con la rubrica “La parola all’avvocato” curata dagli avvocati Elisa Baldocci, Maria Serena Primigalli, Marco Baldinotti e Martina Pernici.
Gli articoli saranno pubblicati settimanalmente. I lettori potranno porre domande che ritengano di comune interesse scrivendo alla mail del nostro giornale: [email protected].
L’argomento oggetto dell’approfondimento di oggi ci permette di toccare con mano un argomento di comune utilizzo, in cui molto frequentemente è possibile trovarsi – purtroppo- specie in un periodo di crisi come questo. Il tema riguarda l’estinguibilità delle pretese che il Fisco può vantare sugli eredi in caso di decesso del debitore. Vediamo nello specifico le varie fasi e cosa accade in concreto.
Il soggetto gravato da debiti tributari, deceduto prima della soddisfazione del debito stesso, non comporta la perdita del diritto da parte dell’Agenzia delle Entrate di procedere alla riscossione nei confronti degli eredi.
È opportuno prestare attenzione non soltanto alla situazione debitoria del de cuius al momento dell’apertura della successione, ma anche al rapporto tra l’erede e l’asse ereditario. La successione si apre al momento della morte (intesa come cessazione medicalmente accertata delle funzioni celebrali). Il procedimento successorio comprende tre momenti, i quali individuano altrettanti diversi fenomeni: l’apertura della successione, la vocazione, la delazione.
La morte costituisce il momento fondamentale che dà luogo all’apertura della successione, a questa segue la vocazione, ossia la chiamata all’eredità che designa colui che dovrà succedere in base a un determinato titolo (per testamento, per legge); la vocazione coincide spesso con la fase della delazione (ma in taluni casi avviene in un momento successivo) e costituisce l’offerta al chiamato del diritto di succedere, consiste, cioè, nel momento dinamico della vocazione. Segue l’accettazione dell’eredità che può essere espressa (per atto pubblico o scrittura privata), ovvero tacita (quando l’erede compia uno o più atti che egli non avrebbe il diritto di fare se non in qualità di erede) o, ancora, presunta (quando l’erede attua la disposizione dei beni dell’eredità). Occorre prestare, dunque, attenzione a quali operazioni si dà atto al momento della morte di una persona della quale siamo eredi, soprattutto quando si tratta di eredità onerose.
L’asse ereditario non sempre (e difficilmente) sarà esclusivamente formato da beni e situazioni patrimoniali attive, è possibile che l’eredità sia composta per la maggior parte da passività (tra le quali rientrano i debiti tributari nei confronti dell’Erario); altrimenti detto, si crea una simile situazione quando il de cuius era gravato da debiti. In tal evenienza può non essere vantaggioso per l’erede succedere nella posizione del defunto, tuttavia, quando non vi siano i presupposti o la volontà di rinuncia all’eredità, si apre una terza via che è quella dell’accettazione con beneficio di inventario.
L’accettazione con beneficio di inventario evita la confusione tra il patrimonio del de cuius e quello dell’erede: l’erede risponderà dei debiti dell’eredità nei limiti del valore del patrimonio ereditario, senza possibilità per i creditori del de cuius di aggredire il patrimonio personale dell’erede, sono così evitate le conseguenze economicamente negative di un’eredità onerosa. L’accettazione beneficiata rappresenta una facoltà per il chiamato all’eredità, fanno, tuttavia eccezione alcuni casi individuati per i quali diviene obbligatoria (incapaci assoluti e relativi, persone giuridiche, enti non riconosciuti). Essa prevede una forma specifica, l’atto pubblico, legittimato a riceverla è un notaio o il cancelliere del tribunale del circondario dove si è aperta la successione (si ricorda che la successione si apre nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto), è poi soggetta all’inserzione nel registro delle imprese e alla trascrizione, a cura del cancelliere, nei registri immobiliari. Il termine per l’accettazione beneficiata è quello ordinario di dieci anni, tuttavia, bisogna precisare che nel caso in cui l’erede si trovi nel possesso dei beni ereditari il termine si riduce a tre mesi.
Al fine di rendere più chiaro quanto detto, l’erede dovrà, in prima battuta, prestare attenzione a non realizzare disposizioni dei beni ereditari che comportino l’accettazione (pura e semplice), come la vendita dell’auto appartenuta al de cuius e, in seconda battuta, considerare l’opportunità di un’accettazione beneficiata nel termine di tre mesi (salvo proroga concessa dal tribunale), qualora si trovi nel possesso dei beni, intendendosi la situazione di fatto nella quale si trova colui che ha nei confronti del bene una relazione equiparabile al diritto di proprietà.
L’inventario permette di stabilire la consistenza dell’attivo e del passivo del patrimonio ereditario, una volta terminata l’operazione, l’erede avrà un termine di quaranta giorni per rinunciare all’eredità, oppure accettare con beneficio d’inventario. Quando al contrario non si proceda a tali adempimenti nei termini di legge, l’erede sarà considerato puro e semplice e risponderà dei debiti del de cuius anche con il proprio patrimonio, con tutte le conseguenze nel rapporto tra creditori personali dell’erede e creditori del defunto. La possibilità per l’erede di evitare l’azione dell’Agenzia delle Entrate per un debito con l’Erario contratto dal defunto risiede nell’accettazione beneficiata.
Quindi, in conclusione è sempre opportuno verificare la correttezza delle varie fasi che si susseguono dal decesso del debitore in poi, magari con l’ausilio di un professionista o di un Ente che possa fornire la giusta e adeguata assistenza.
Avv. MARTINA PERNICI