La parola all’avvocato: il passaggio dal gratuito patrocinio al patrocinio a spese dello Stato

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Nuovo appuntamento con la rubrica “La parola all’avvocato” curata dagli avvocati Elisa BaldocciMaria Serena Primigalli, Enrico Carti Marco Baldinotti.

Gli articoli saranno pubblicati settimanalmente. I lettori potranno porre domande che ritengano di comune interesse scrivendo alla mail del nostro giornale: [email protected]

Il tema del patrocinio a spese dello Stato, oggi spesso impropriamente definito “gratuito patrocinio”, non può prescindere da un accenno all’evoluzione dell’istituto a partire dal r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282, quadro efficacemente ricostruito dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 4315/20 che andremo di seguito ad analizzare.

Tale normativa surrichiamata prevedeva un munus honorificum:  un gratuito patrocinio (di qui l’espressione impropriamente ancora oggi utilizzata) dei poveri quale ufficio onorifico obbligatorio che attribuiva agli avvocati e procuratori onore e prestigio.

Il gratuito patrocinio si configurava per l’avvocato come obbligatorio, in quanto poteva essere rifiutato soltanto per un grave e giustificato motivo (art. 31).
In seguito l’istituto ha avuto un espresso riconoscimento in Costituzione: l’art. 24 comma 3 prevede infatti che “sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”.

Il legislatore ha così progressivamente introdotto un sistema di superamento della logica del patrocinio gratuito, verso il patrocinio a spese dello Stato: inizialmente limitato alle controversie di lavoro (l. n. 533/73), e successivamente in materia di adozione e affidamento minori (l. n. 184/83).
Ma è con la legge n. 217 del 30 luglio 1990 che viene introdotto il patrocinio a spese dello stato con estensione più generalizzata: non più per specifiche materie ma per le cause penali e per particolari materie civili. Tale legge abroga il regio decreto n. 3282 del 1923.

Ad oggi la normativa di riferimento è contenuta nel dpr 30 maggio 2002 n. 115 “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”.
Il nuovo istituto prevede la designazione del difensore da parte del non abbiente, difensore iscritto in apposito elenco di cui all’art. 80 del T.U.S.G., e la presentazione di un’istanza al consiglio dell’Ordine degli Avvocati.

I requisiti per poter beneficiare del patrocinio a spese dello Stato sono: – un reddito imponibile non superiore a quanto previsto dall’art. 76 T.U.S.G.; – che le pretese dell’istante appaiano non manifestamente infondate.

Una volta presentata l’istanza, il Consiglio dell’Ordine ne delibera l’ammissione o la respinge. In quest’ultimo caso sarà comunque possibile riproporre l’istanza al giudice competente per il giudizio il quale decide con decreto. Avverso tale decreto, può essere proposta opposizione di cui all’art. 170 T.U.S.G. (Cass. 13833/2008; id. 19203/2009).

L’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo purché la parte esca vittoriosa; in caso contrario sarà necessario presentare una nuova istanza che verrà ammessa in caso di non manifesta infondatezza.

La sentenza in commento risolve poi un contrasto giurisprudenziale sulla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che viene disposta in caso di sopravvenienza di modificazioni reddituali o quando l’interessato ha agito o resistito in giudizio per colpa grave o mala fede (art. 136 T.U.S.G.).

Il contrasto risolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione concerne il giudice competente a provvedere sulla revoca: – secondo un primo orientamento tale provvedimento non spetta alla Corte di Cassazione ma al giudice di rinvio ovvero a quello che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. 23972/2008; Cass. 16940/2019; Cass. 5535/2018) ; – un differente orientamento considera tale potere di revocare l’ammissione implicito alla competenza della Corte di Cassazione (Cass. 26661/2017; Cass. 17037/2018; Cass. 26060/2018).

Il Supremo Consesso, con la sentenza n. 4315/2020 ha risolto la questione nel senso che il potere di revocare l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato compete al giudice di rinvio o al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato.
In estrema sintesi le motivazioni a sostegno di tale principio sono le seguenti:

  • Il ruolo di vertice della Corte di Cassazione: alla Suprema Corte è infatti attribuita la speciale ed esclusiva funzione della c.d. nomofilachia e quindi è precluso attribuire alla stessa compiti estranei non previsti dalla legge;
  • La revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio costituisce un autonomo e diverso potere rispetto a quello di decidere la controversia e alla Corte di Cassazione proprio per il suo ruolo di giudice di legittimità e delle funzioni nomifilattiche, non è consentito pronunciare provvedimenti diversi da quelli che decidono il ricorso;
  • Attribuire alla Corte di Cassazione il potere di disporre la revoca del beneficio comporterebbe un inammissibile “cortocircuito processuale”: il rimedio dell’opposizione previsto dall’art. 170 T.U.S.G. è infatti efficace se e nella misura in cui viene garantita una verifica della legittimità del provvedimento di revoca da un Giudice superiore.

Avv. ENRICO CARTI
www.avvocati-firenze.it

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