Nuovo appuntamento con la rubrica “La parola all’avvocato” curata dagli avvocati Elisa Baldocci, Maria Serena Primigalli, Enrico Carti e Marco Baldinotti.
Gli articoli saranno pubblicati settimanalmente. I lettori potranno porre domande che ritengano di comune interesse scrivendo alla mail del nostro giornale: [email protected].
Il diritto all’assegno di mantenimento del precedente matrimonio e la lotta con le nuove relazioni.
Quando ci troviamo difronte alla rottura di una coppia coniugale, il coniuge “più debole” economicamente, risulta titolare di un assegno di mantenimento (oppure nel caso dell’ex coniuge di un assegno divorzile); frequente è la circostanza che a seguito della rottura del rapporto possa instaurare con un altro soggetto una convivenza e conseguentemente una famiglia di fatto.
Diviene necessario quindi stabilire se ci siano o meno conseguenze derivanti dalla nuova convivenza, sul diritto all’assegno di mantenimento e, in caso affermativo, quali siano e a quali condizioni si verifichino.
Doverosa è la premessa per cui, da un punto di vista normativo, non esiste alcuna disposizione di legge che preveda automaticamente l’esclusione dell’assegno di mantenimento come diretta conseguenza dell’instaurazione di una convivenza more uxorio: infatti l’unica previsione di una causa automatica di esclusione trova la sua disciplina con riferimento all’assegno divorzile, ed è rappresentata dal contrarre nuove nozze da parte dell’ex coniuge, che gode dell’assegno di mantenimento (art. 5, comma 10, l. n. 898/1970).
Tale previsione però non esclude minimamente l’incidere di altre situazioni sul diritto all’assegno di divorzio o di mantenimento.
Tale circostanza è integrata, non tanto dalla mera coabitazione, ma verosimilmente dall’ipotesi di una convivenza tra due persone che presenti le caratteristiche di stabilità, continuità e condivisione di un progetto di vita.
In tema di separazione quindi, laddove un coniuge separato instauri un’altra stabile convivenza, non dovrebbe teoricamente avere più diritto all’assegno di mantenimento.
La Cassazione riconosce inoltre la possibilità, per il coniuge beneficiario dell’assegno, di dimostrare però che la nuova convivenza non influisce assolutamente “in maniera migliorativa” sulle proprie condizioni economiche, con la conseguenza che i suoi redditi continuano ad essere ancora complessivamente inadeguati a garantirgli la conservazione del tenore di vita coniugale.
Nell’ipotesi di separazione o divorzio quindi, quello dei due coniugi che gode del mantenimento, se vuol continuare a percepire l’assegno mensile da parte dell’ex, non deve né risposarsi né andare a vivere stabilmente con un’altra persona formando una cosiddetta «coppia di fatto». Secondo l’orientamento prevalente ed ormai condiviso da Cassazione e giurisprudenza di merito infatti, chi inizia una nuova convivenza non precaria, ma che alla base ha una relazione non occasionale (contrariamente questo potrebbe verificarsi laddove vi fosse la necessità di dividere i costi dell’affitto, delle utenze e del condominio che da soli potrebbero essere troppo gravosi) non può di certo onerare l’ex coniuge dei costi del proprio sostentamento, data la nuova stabile relazione, che come “rischi vivi” presenta la perdita dell’assegno di mantenimento.
In uno degli ultimi casi decisi dalla Cassazione i protagonisti erano due coniugi: l’ex marito, era stato condannato in primo grado a versare alla moglie un alto assegno di mantenimento, proprio in considerazione del divario economico tra le loro situazioni reddituali. La Corte di appello, cui l’uomo aveva presentato ricorso, aveva confermato la decisione di primo grado.
La Cassazione, dopo la presentazione del ricorso da parte dell’uomo, ha invece ribaltato totalmente la decisione, dando rilievo alla dimostrazione della nuova convivenza stabile e continuativa della ex con il nuovo compagno, nella stessa casa coniugale.
Infatti l’instaurazione da parte del coniuge di una nuova famiglia, ancorché di fatto, fa venire meno definitivamente ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno a carico dell’altro coniuge, riuscendo a rescindere qualunque connessione con la vita coniugale precedente che caratterizzava la pregressa convivenza matrimoniale.
Il coniuge perde il diritto al mantenimento solo se la nuova convivenza sia «stabile e duratura e se si traduca in un progetto di vita in comune che consente di ritenere rescissa ogni connessione con la vita matrimoniale precedente». Invece laddove non vi sia la sussistenza di tali elementi l’assegno continuerebbe ad essere dovuto.
Per capire se una convivenza si configuri come stabile o meno, esistono tanti elementi sintomatici della continuità della stessa: per esempio il cambio di residenza di uno dei due nuovi partner per prenderla nello stesso luogo del nuovo partner; l’acquisto di mobili o la compartecipazione del soggetto non proprietario dell’immobile alle spese inerenti l’appartamento o comunque le spese di ristrutturazione dello stesso; anche i vicini di casa potrebbero essere chiamati a testimoniare sulla durevolezza e la stabilità della relazione che il coniuge ha con il nuovo partner di cui possiede non solo le chiavi di casa, ma si comporta come fosse la proprietaria.
Inoltre se dalla stabile relazione e convivenza del coniuge percettore dell’assegno, dovesse nascere un figlio con il nuovo partner, sarà difficile dimostrare che tra i due conviventi non si sia già formata una «famiglia di fatto» anche se ancora non confluita nel matrimonio.
In un altro caso ancora un coniuge percettore del mantenimento ha proposto ricorso per Cassazione lamentando che il giudice di appello non aveva considerato il principio di diritto secondo cui “il diritto all’assegno di mantenimento non può essere automaticamente negato per il fatto che il suo titolare abbia instaurato una convivenza more uxorio”; tale circostanza influirebbe infatti solo sulla misura dell’assegno. Laddove invece fosse fornita la prova, da parte dell’onerato al pagamento dell’assegno, dell’influsso in melius sulle condizioni economiche dell’avente diritto dovuto alla nuova famiglia di fatto, allora troverebbe luogo l’esclusione del versamento dello stesso.
La ricorrente ha sostenuto inoltre che il giudice di secondo grado avesse errato nell’escludere l’assegno di mantenimento, in quanto la convivenza in questione non presentava assolutamente le caratteristiche della stabilità e, soprattutto, non era stato accertato che essa traesse dalla nuova situazione alcun beneficio economico idoneo a giustificare la diminuzione dell’assegno o addirittura la sua revoca. Esattamente così come indicato dalla Cassazione nella sentenza n. 16982/2018, restava salva la possibilità per il coniuge richiedente di dimostrare che la convivenza non influiva in meliussulle sue condizioni economiche.
Tuttavia, questo principio è stato enunciato in tema di assegno divorzile che all’interno di un caso di separazione deve essere interpretato diversamente, permanendo in questo caso il vincolo coniugale e l’attualità del dovere di assistenza materiale, vengono sospesi infatti solo gli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione.
Il tenore di vita analogo a quello che si aveva prima della separazione deve essere garantito dall’assegno di mantenimento e tuttavia esso è dovuto “sempre che il coniuge richiedente non fruisca di redditi propri tali da fargli mantenere una simile condizione“, dovendo l’assegno essere pur sempre “necessario al suo mantenimento“.
Di conseguenza il diritto all’assegno di mantenimento può essere negato o escluso totalmente laddove il coniuge che lo deve versare riesca a dimostrare che l‘ex coniuge abbia instaurato una convivenza more uxorio con altra persona che sia stabile, continuativa ed effettiva, con alla base progetti di vita, proprio perché in un caso simile le capacità economiche di ciascun convivente vengono messe in comune all’interno del nuovo nucleo familiare che si è formato.
In una successiva pronuncia di legittimità è stato precisato inoltre che “la convivenza more uxorio, pur facendo venir meno il rapporto di continuità con il precedente modello di vita matrimoniale, non lo interrompe in modo definitivo, ma determina solo uno stato di quiescenza del diritto all’assegno”, con la conseguenza che, all’eventuale venire meno del beneficio economico derivante dalla nuova convivenza, sia conseguibile il ripristino dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile.
In seguito, la Corte di Cassazione è approdata ad una diversa soluzione affermando che “l’instaurazione di una stabile convivenza da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile determina non la mera quiescenza dell’obbligo di mantenimento, ma il definitivo venir meno di ogni presupposto di riconoscibilità dell’assegno divorzile”.
Il giudice di legittimità afferma che:
“a) la convivenza more uxorio determina la revoca del diritto all’assegno di mantenimento, escludendo l’ipotesi di una mera riduzione dell’entità del contributo, sul presupposto che essa incida sullo stesso presupposto di riconoscibilità dell’assegno;
- b) il venir meno del diritto all’assegno costituisce una conseguenza inevitabile della convivenza more uxorio, a prescindere dalla circostanza che il nuovo assetto familiare abbia effettivamente comportato un beneficio economico per il coniuge titolare o richiedente l’assegno;
- c) la revoca del diritto all’assegno è irreversibile, non potendosi chiedere che questo venga ristabilito in seguito all’eventuale cessazione della convivenza, in quanto ciò che rileva non è il (possibile) miglioramento delle condizioni economiche derivante dalla costituzione di una famiglia di fatto, bensì la mera costituzione della stessa”.
In conclusione, posto che è fuori da ogni dubbio che la formazione di una famiglia di fatto non possa essere considerata una circostanza neutra e priva di riflessi, senza il precipuo intervento ad hoc del legislatore, sarebbe sicuramente più conforme al dato normativo annoverarla tra le «circostanze» che, ai sensi dell’art. 156, comma 2 c.c., il giudice deve valutare nella quantificazione dell’assegno di mantenimento e, valutati anche i criteri posti alla base della definizione di stabilità, continuità e condivisione di un progetto di vita, decida in merito alla riduzione del quantum e addirittura della possibilità di attribuirne il diritto o meno.
Avv. MARIA SERENA PRIMIGALLI PICCHI