Quando c’erano le mezzepunte… e i mondiali si giocavano d’estate

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Calcio
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Quando c’erano le mezzepunte

Quando c’erano le mezzepunte, il mondo era buono e giusto e anche il calcio era molto diverso.

A quell’epoca non esistevano i trequartisti che si inserivano tra le linee, anche perché non esistevano linee, ma solo un ammasso di undici giocatori a difesa della propria area. Si chiamava catenaccio.

Quando c’erano le mezzepunte non esistevano le sovrapposizioni e, anzi, Nereo Rocco le considerava più nefaste di una pestilenza.

Quando c’erano le mezzepunte non c’erano le ripartenze, ma il contropiede, cioè il sistema più viscido, ma anche di maggiore soddisfazione per i tifosi, di vincere le partite.

Quando c’erano le mezze punte non esistevano i centrali di difesa, ma il libero e lo stopper. Era un mestiere duro, quello. Era necessario aver accumulato almeno due condanne per rissa ed avere un nome all’altezza della situazione: avete mai pensato alle conseguenze di un tunnel ad uno che si chiamava Pietro Vierchowod?

Quando c’erano le mezzepunte anche i terzini avevano esclusivamente compiti difensivi, seguivano l’attaccante anche in bagno e non era loro permesso farsi sorprendere dall’avversario. D’altra parte era praticamente impossibile che qualcuno si azzardasse a dribblare uno che si chiamava Tarcisio Burnich o Karl Heinz Schnellinger.

Solo il terzino sinistro poteva superare la metà campo, ma non più di tre volte a partita e solo se si chiamava Giacinto.

Quando c’erano le mezze punte il mediano aveva esclusivamente compiti di rottura. Solo una volta nella carriera gli era concesso di entrare nell’area avversaria. Al buon Nevio Scala successe alla metà degli anni’70 in un memorabile Fiorentina-Milan, quando dopo aver annullato l’abatino Rivera, si presentò da solo in area di rigore avversaria. Non riuscì a segnare, ma, a seguito di quell’evento è entrato nell’immaginario collettivo.

Era l’eccezione che confermava la regola: “stai attaccato al 10!”

Quando c’erano le mezze punte, l’altro centrocampista si chiamava mezz’ala, ma in realtà era un attendente del numero 10. Sempre pronto a scattare sull’ atttt-tenti. Da Lodetti a Benetti fino a Oriali e Bonini.

Quando c’erano le mezze punte all’ala destra era concessa un po’ di libertà, ma era limitata tanto che ne veniva diminuito anche il cognome: Novellino, Marocchino…

L’ala era dotata di estro, ma numerose erano le giornate di scarsa vena che facevano particolarmente incazzare i tifosi. Per la mezzapunta era un ottimo e utile capro espiatorio.

Quando c’erano le mezze punte gli attaccanti non erano dei calciatori, ma degli arieti che dovevano sfondare le difese. Tranne alcuni casi, vedi Rombo di Tuono (Gigi Riva) e Bonimba (Roberto Boninsegna), in cui l’appellativo di sventra-difese era ben riposto, il triste destino degli attaccanti spesso era già presente nel nome basti pensare a Egidio Calloni, Stefano Chiodi e, più recentemente, Felice Evacuo.

La mezzapunta era il giocatore più elegante della squadra, l’unico, che all’epoca, si poteva permettere, non dico una velina, ma almeno un’annunciatrice televisiva.

Di solito indossava la maglia numero 10 e aveva potere di vita e di morte sulla panchina.

La squadra giocava solo ed esclusivamente per lui.

Lui ricambiava con tocchi di fino e colpi di classe che mandavano in brodo di giuggiole il pubblico di casa. Di correre, ovviamente, neanche a parlarne.

Ogni squadra aveva la sua mezzapunta: la Fiorentina di De Sisti, il Milan di Rivera, il Bologna di Bulgarelli, la Roma di Cordova, la Lazio di Frustalupi, la Juve di Capello

A Verona c’era il Mascetti, ma non era il conte bensì Emiliano.

Poi, nel 1972, sbarcò a Firenze il bell’Antonio, al secolo Giancarlo Antognoni, e non ce ne fu più per nessuno: lui era l’unico che correva guardando le stelle.

Questo è quello che succedeva quando c’erano le mezze punte…poi è arrivato Sacchi.

 

Daniele Niccoli

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