15 marzo 1860 – Plebiscito per l’annessione

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Palazzo vecchio - Targa plebiscito
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Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri 

Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza   (Dante, Inferno, canto XXVI)

15 marzo 1860 – Plebiscito per l’annessione

 

Gli eventi che hanno portato all’unità d’Italia ci sono stati raccontati spesso come un qualcosa d’ineluttabile e fortemente voluto dalle popolazioni italiche. In realtà le cose ebbero un andamento un po’ più complesso. Tra il 1859 e il 1860 gli abitanti della Toscana, del Regno delle due Sicilie e di buona parte dello Stato Pontificio furono chiamati a decidere per l’annessione al Regno Sabaudo o per la creazione di un regno separato. Le elezioni rappresentavano una bella incognita perché avevano diritto al voto tutti i maschi oltre i 21 anni, mentre nelle poche competizioni elettorali precedenti il diritto al voto era basato sul censo e riguardava circa il 2% della popolazione.

In Toscana il voto segreto fu quasi impossibile. Per votare a favore di un regno separato, l’elettore doveva prepararsi per conto proprio la scheda elettorale mentre quelle pro-unione furono ampiamente diffuse da La Nazione, giornale fondato poco tempo prima da Bettino Ricasoli, capo del governo provvisorio e convinto assertore dell’annessione al Regno sabaudo. Il barone di ferro, così veniva chiamato Ricasoli, non si limitò a questo. Il giorno delle elezioni costrinse il fattore delle sue terre di Brolio ad accompagnare i contadini fino all’urna con la scheda per l’annessione ben in vista.

Alcuni di essi ebbero l’ardire di richiedere anche l’altra scheda, ma incorsero nell’ira del barone che li fece arrestare. Altissima fu la pressione esercitata anche dagli altri proprietari terrieri nei confronti dei loro mezzadri, cioè su oltre metà dei toscani dell’epoca. L’atteggiamento è riassunto dall’efficace frase di un signorotto di Pescia:

Chi non vota non pota

 che faceva ben intendere quanto fosse probabile la disdetta del podere in caso di voto poco gradito. Le elezioni furono così poco libere che gli elettori non ebbero neanche la possibilità di scegliere l’orario in cui andare a depositare la scheda. Per ogni categoria sociale fu stabilita un’ora precisa.

Oggi grideremmo allo scandalo e al broglio elettorale per molto meno, ma quelli erano i tempi e comunque, volenti o nolenti, quelle sono le basi su cui è stata costruita la nostra Nazione.

In Toscana il plebiscito si tenne l’11 e il 12 marzo 1860. I favorevoli all’annessione furono 366.571. Coloro che votarono per un regno separato furono 14.925. Da nessun’altra parte furono così numerosi. I risultati furono convalidati dalla Suprema Corte di Cassazione il 15 marzo 1860. Con quest’ atto si pose fine alla secolare storia del Granducato.

A perenne ricordo dell’evento, per volere di Bettino Ricasoli, a sinistra della porta principale di Palazzo Vecchio fu posta una targa di bronzo.

Daniele Niccoli

 

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