20 marzo 1865 – Dal Gonfaloniere al Sindaco

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Palazzo Vecchio
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Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri 

Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza   (Dante, Inferno, canto XXVI)

20 marzo 1865 – Dal Gonfaloniere al Sindaco

La legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, emanata il 20 marzo 1865 estese la struttura politica e amministrativa del Regno di Sardegna a tutte le regioni che erano entrate a far parte del Regno d’Italia. Il territorio fu diviso in province affidate ad un prefetto di nomina regia. Poco cambiava per quanto riguarda Firenze perché la nuova istituzione si sovrapponeva sia geograficamente che amministrativamente con la vecchia prefettura granducale. Lo stesso dicasi per il Comune dove il cambiamento più significativo fu nel nome della carica attribuita al primo cittadino: il Gonfaloniere diventò Sindaco.

A ricoprire questa carica nel 1865 fu chiamato il conte Luigi Guglielmo Cambray-Digny che ebbe così l’onere e l’onore di guidare la città proprio nel momento in cui diventava capitale d’Italia e modificava completamente il suo volto. A questo scopo conferì all’architetto Giuseppe Poggi l’incarico di elaborare un progetto di rinnovamento globale, ma che doveva rispettare alcuni punti fermi: l’abbattimento delle mura e la costruzione di case per almeno 30 mila nuovi cittadini.

il desiderato ingrandimento porti alla demolizione delle attuali mura urbane, e alla formazione di un pubblico grandioso passaggio secondante la traccia delle medesime Luigi (Guglielmo Cambray-Digny)

L’abbattimento delle mura consentì l’allontanamento delle attività insalubri che si svolgevano a ridosso delle stesse. Le fabbriche di candele e vernici insieme ai macelli furono le prime attività ad essere spostate verso la periferia. Contemporaneamente terreni, fino ad allora usati come orti, furono resi edificabili.

Gruppi finanziari molto vicini al conte-sindaco furono accusati di speculazione edilizia ma le accuse non furono sufficienti a bloccare la devastazione della città. Sotto i colpi di dinamite se ne andarono non solo le mura, ma anche la porta a Pinti, la porta Guelfa, la tettoia dei Pisani in piazza della Signoria e l’ex convento della Nunziatina. Perdite solo parzialmente compensate dalla creazione dei quartieri di San Niccolò, della Mattonaia e di Barbano, dall’allargamento di molte strade e dalla realizzazione del viale dei colli con il piazzale Michelangelo.

Alla fine rimasero soprattutto i debiti. Cambray-Digny lasciò a Ubaldino Peruzzi l’onere di dichiarare il fallimento del Comune. Per lui erano sopraggiunte nuove opportunità. Nel 1867 era stato nominato ministro delle finanze del governo Menabrea e come tale si adoperò per risanare il debito determinato dalle spese sostenute per la III guerra d’indipendenza. A tal fine impose l’odiosa tassa sul macinato che scatenò numerose proteste in tutto il Paese tanto che il Senato dovette conferire poteri speciali al generale Raffaele Cadorna per reprimerle.

Daniele Niccoli

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