Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri
Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno
Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza (Dante, Inferno, canto XXVI)
6 marzo 1282 – Paolo Malatesta Capitano del Popolo
In seguito alla morte di Federico II di Svevia i guelfi, che all’epoca governavano Firenze, effettuarono un primo tentativo di pacificazione con i ghibellini che, dopo essere stati espulsi, furono di nuovo accolti in città. Nacque in quel frangente il Governo del Primo Popolo che vedeva l’ascesa al potere delle Arti, cioè di quella gente nova descritta da Dante e costituita soprattutto da mercanti, banchieri e giuristi.
Nel tentativo di equilibrare il potere fra le varie fazioni e classi sociali l’apparato statale si arricchì di una serie di magistrature e consigli: il Consiglio dei Dodici Anziani con due rappresentanti per ogni sestiere, il Consiglio dei Trentasei Buonomini, e il Capitano del Popolo che andò ad affiancare, con le stesse funzioni, il Podestà, espressione della classe aristocratica.
Queste due magistrature si avvalevano di un consiglio costituito rispettivamente da 90 e 300 uomini. Le vicende politiche dei successivi trent’anni ridussero progressivamente la loro importanza ma, ancora nel marzo 1282, dopo la pace del Cardinale Latino Malabranca, papa Martino IV volle che la carica di Capitano del Popolo fosse ricoperta da Paolo Malatesta, signore di Rimini.
Avrebbe dovuto svolgere il ruolo di giudice e di conservatore della pace, ma l’istituzione proprio in quell’anno del Priorato delle Arti ne limitò il potere e così, dopo l’annullamento di alcune sue sentenze, decise di rassegnare le dimissioni. In virtù del ruolo prestigioso che ricoprì ebbe comunque modo di farsi conoscere dai cittadini fiorentini fra cui il giovanissimo Dante che non rimase indifferente all’episodio di cronaca nera in cui Paolo Malatesta rimase coinvolto qualche anno dopo: il signore di Rimini si innamorò, ricambiato, della cognata Francesca da Polenta, ma la relazione fu scoperta dal marito tradito, Gianciotto Malatesta e fu punita con l’uccisone dei due amanti.
Dante ha reso immortale quell’amore dedicandogli buona parte del V canto dell’Inferno alla fine del quale, sbigottito dal fatto che l’Amore che aveva cantato nella Vita Nova potesse condurre prima alla morte e poi alla dannazione, sviene e cade come corpo morto cade.
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte (Dante Alighieri)
DANIELE NICCOLI
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