Per altre vie: “Quando si prende confidenza con la prigione, la libertà può far paura”

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Torna l’appuntamento con la rubrica settimanale “Per altre vie” dedicata alla psicologia. Se questi giorni ti stanno mettendo a dura prova, se hai bisogno di qualche piccolo consiglio per alleggerire e rendere più serene le giornate e il rapporto con i tuoi figli o se vuoi offrire una tua riflessione, la tua esperienza perché possa essere di aiuto a chi ci legge puoi scrivere a [email protected]. Gli articoli saranno pubblicati tutti i mercoledì.

Oggi parliamo dei problemi psicologici legati cosiddetta fase 2 dell’emergenza Coronavirus. La nostra vita è destinata a cambiare. Ci vorrà tempo prima di tornare alla vera normalità.

Questa Fase 1 ci è sembrata interminabile e ora che siamo alla vigilia della tanto attesa Fase 2 viviamo sentimenti di estrema ambivalenza. Con immensa fatica abbiamo accettato le regole della quarantena e le pressioni familiari ed economiche di questi mesi. Nonostante questo abbiamo avuto, come nostra alleata, la consapevolezza di agire per il nostro bene, abbiamo compreso che gli immensi sacrifici fatti servivano a tutelare la nostra salute e quelle dei nostri cari.

E ora che siamo in procinto di allentare le costrizioni, ci sentiamo disorientati, senza appigli. 

L’aspetto particolare e critico di questa pandemia è che non ne vediamo la fine, né abbiamo certezze assolute sul contenimento di questo virus in un un ritorno alla vita “normale”.  

Ci apprestiamo ad aprire le porte delle nostre case senza che si siano trovate risposte tranquillizzanti ai nostri timori.

Accanto a questo però sentiamo il desiderio enorme di tornare alla normalità, di tornare a vivere.

Scrive il dott. Diego Ratti: ‘Dal 4 maggio l’Italia potrebbe spaccarsi in due: da una parte chi prolungherà in modo volontario l’isolamento, dall’altra chi cercherà di recuperare i due mesi di inattività correndo da un parco a un negozio, da un bar a un ristorante’.

Ma proviamo ad analizzare le cose un passo alla volta; abbiamo infatti bisogno di comprendere prima cosa sia accaduto, da un punto di vista psicologico e sociale, in queste lunghe settimane.

Alla comunicazione di questa epidemia la prima risposta psicologica che si è avuta è stata quella della negazione: ‘Il virus non ci colpirà’.

La seconda quella della rabbia: ‘Nessuno mi spiega chiaramente perché sono obbligato a restare a casa’ o ‘Che senso ha non poter fare una passeggiata e stare invece accalcati in fila ai supermercati’. La rabbia poi era ed è strettamente legata agli aspetti lavorativi, di impoverimento e di chiusura delle attività.

La terza risposta psicologica è stata quella della consapevolezza. Ci siamo resi conto che il Covid-19 è una malattia così difficile da gestire che quelle restrizioni erano necessarie per contenere l’emergenza sanitaria. Abbiamo visto la sofferenza in faccia, la fila interminabile di bare, il dolore dei familiari e degli operatori sanitari. 

Ci siamo quindi aperti all’accettazione, una fase di accomodamento nella quale ‘mi ingegno per adattarmi al meglio al nuovo stile di vita’: smart working, spesa organizzata per periodi lunghi, gestione h24 dei figli, corsi online, regole igieniche e di protezione seguite quasi all’ossessione, ecc…

Siamo quindi passati alla trattativa, abbiamo accettato i nostri sacrifici per il bene degli altri: ‘Ok, rispetto queste restrizioni fino a Pasqua e poi andrà tutto meglio, vero?’. Mai come prima abbiamo creduto nel valore della Rinascita della ricorrenza pasquale, credenti e non. Poi la Pasqua è arrivata ed è anche passata, ma poco o nulla è cambiato. Ed è arrivato anche il 25 Aprile, la Festa della Liberazione, ma la nostra libertà non è arrivata e il nemico non siamo riusciti a scacciarlo.

E allora la tristezza e lo sconforto, legati alla consapevolezza amara di quello che ci aspetterà nei prossimi mesi, si sono fatti vivi, in varie forme: depressione, ansia, nuovamente rabbia e senso di oppressione… ‘fateci uscire!!!!’ .

Vogliamo uscire, ma ne abbiamo timore.

Nella Fase 1 ci hanno privato di gran parte della nostra libertà, ma abbiamo anche imparato a sentirci protetti da queste regole. 

La Fase 2, che abbiamo atteso a gloria per poterci riappropriare della nostra vita, anche se parzialmente, rischia invece di farci sentire più disarmati e fragili, con un’unica certezza, che non potrà essere, subito, come prima. 

E le domande che ci poniamo sono già tante: ‘Come cambieranno i nostri rapporti, come potremo tenere sotto controllo i nostri gesti (e quelli dei bambini?), come potremmo essere sempre attenti a mantenere le distanze? Come sopravviveremo se non abbiamo più un lavoro?’.

Non è facile vivere appieno quando il senso di sicurezza interiore è costantemente minacciato. Daniel Siegel ci insegna infatti che se, normalmente, agiamo all’interno di quella che lui definisce ‘finestra di tolleranza’ (uno spazio in cui sentiamo di riuscire controllare il fluttuare dei nostri umori), in presenza di una minaccia per noi eccessiva, fuoriusciamo dai quei confini ed entriamo in una zona di ‘disregolazione’. In uno stato di ‘disregolazione’ si percepiscono emozioni estreme, come se non se ne avesse il controllo. Si agisce senza ordine, senza traiettoria e senza sufficienti stimoli o, al contrario, in balia delle proprie emozioni. 

L’esperienza di questa pandemia, poi, per chi ha perso familiari o amici o per tutti gli operatori sanitari in prima linea, che hanno assistito a dolori e morti inumane e solitarie, necessiterà probabilmente di un supporto psicologico strutturato.

Chi ha avuto la fortuna di uscire ‘indenne’ da questa tragedia vive comunque disorientato. Ricorderete anche voi come ci siamo sentiti dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Anche se siamo stati solo spettatori di quella terribile esperienza, per molto tempo abbiamo condotto le nostre vite come accompagnati costantemente da un senso di pericolo imminente.

Come possiamo allora tornare alla normalità con queste premesse?

Il nostro cervello per fortuna ci viene in soccorso, ma abbiamo comunque bisogno di tempo per elaborare quanto ci è accaduto, dobbiamo riaffacciarci alla vita per step. La notizia che dal 4 maggio avremo poche libertà in più ci ha un po’ deluso, ma è importante anche contenere e accompagnare gradatamente il ritorno alla normalità. È importante per la nostra salute fisica, perché non siano vanificati i sacrifici fatti finora, ma è importante anche per la nostra salute psichica.

Abbiamo imparato a guardare alle priorità della vita, dando alle cose valori differenti, rispetto a quelli stabiliti prima, abbiamo riscoperto il tempo nella sua lentezza. Dovremmo ripartire mantenendo questa consapevolezza, come avviene quando si è costretti a vivere e superare una malattia importante. Saremo fragili, timorosi,  ma consapevoli di avere una seconda opportunità ed è un’opportunità che va colta in maniera propositiva. Non possiamo limitarci a sperare! La speranza ci culla, ma dobbiamo sapere che è anche causa di angoscia; speriamo quando ci sentiamo impotenti e l’impotenza insieme alla paura genera angoscia. Per andare avanti abbiamo bisogno di un orizzonte, di una direzione e della volontà attiva di ripartire.

Stabiliamo le nostre priorità, abbassiamo le aspettative e le richieste. Dobbiamo aprirci alla vita a piccoli passi, cercando di investire le nostre energie pian piano.

Stabiliamo dei micro – obiettivi che ci possano essere d’aiuto per orientarci.

E rivolgiamo a noi stessi uno sguardo comprensivo, perché in tutti questi mesi ci è stato chiesto molto. 

Poi, se abbiamo bisogno di una mano, proviamo a trovare la forza di chiedere aiuto”.

EMANUELA EBOLI

 

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