Per altre vie: “Come vivono le donne che subiscono violenza”

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1522-Per altre vie

Torna l’appuntamento con la rubrica settimanale “Per altre vie” dedicata alla psicologia e curata da Emanuela Eboli. Se questi giorni ti stanno mettendo a dura prova, se hai bisogno di qualche piccolo consiglio per alleggerire e rendere più serene le giornate e il rapporto con i tuoi figli o se vuoi offrire una tua riflessione, la tua esperienza perché possa essere di aiuto a chi ci legge puoi scrivere a [email protected]. Gli articoli saranno pubblicati tutti i mercoledì.

 

In questo periodo di quarantena, di convivenza forzata, di crisi sociale ed economica, il fenomeno della violenza domestica è decisamente esploso o meglio imploso dentro le quattro mura, visto il divieto di uscire, se non per questioni di assoluta necessità. Dal 1° marzo al 16 aprile 2020 le chiamate al 1522, il numero verde messo a disposizione dal Dipartimento Pari Opportunità per aiutare le vittime di violenza di genere e stalking, sono triplicate e si ritiene che il dato tenderà ad aumentare nei prossimi mesi.

E allora è necessario sensibilizzare sul tema ad ogni occasione possibile e io vorrei farlo partendo da un’esperienza che risale a qualche anno fa…

Correva l’anno 2011 e con la CGIL di Prato, il Centro antiviolenza La Nara di Prato, alcune donne che fonderanno poi l’associazione Ipazia e con la collaborazione dell’attrice Manola Nifosì del Centro Iniziative Teatrali di Campi Bisenzio, organizzammo uno spettacolo di sensibilizzazione sul tema della violenza alle donne. Martina Rafanelli curò i testi delle storie narrate e a me fu affidato il compito di scrivere l’atto finale, il colloquio fra un’operatrice di un Centro antiviolenza «X» e una donna che aveva trovato la forza di raccontare la sua esperienza e di chiedere aiuto.

Il contributo di oggi alla rubrica «Per Altre Vie» si apre con questo dialogo.

Tratto dallo Spettacolo «Aprite quella porta»*

*Per esigenze di scenografia il colloquio fu costruito come se si fosse svolto in presenza ma voi immaginate, perché è così che solitamente accade, che questo dialogo avvenga per mezzo di una telefonata.

O (Operatrice): buongiorno, piacere, Loredana

A (Anna): buongiorno

O: prego si accomodi

A: mi scusi, mi sono rivolta a voi perché avrei bisogno di alcune informazioni

O: lei è la signora?

A: devo proprio dire il mio nome?

O: come preferisce, io ho bisogno però di annotarmi qualcosa sulla sua storia; può darmi, se per lei è meglio, un nome fittizio.

A: mi chiamo Anna…ma guardi…davvero…sono qui solo perché ho bisogno di alcune informazioni, niente di più…sa ho preso la decisione di separarmi ma nel mio caso non so proprio da dove cominciare…

O: ha bisogno di essere sostenuta in questa decisione…?!

A: sì…vede…vorrei separarmi da mio marito, è da tanto tempo che penso di farlo…mi creda lo desidero tanto…desidero tanto poter stare meglio…ma fino ad ora…non so….non sono riuscita, non sapevo cosa fosse la cosa giusta da fare….ho anche una bambina …

O: ha una bambina….!? Come si chiama?

A: Sofia

O: e quanti anni ha Sofia?

A: sei

O: ho capito… quindi Anna, mi diceva, è da tanto tempo che sente di voler stare meglio…mi può dire qualcosa in più sul suo matrimonio, cosa non la faceva, non la fa, stare bene?

A: sì, ha ragione, forse mi devo spiegare meglio, in effetti non so neanche se venire qui sia necessario, forse il mio caso non è così grave, non tanto grave…se…insomma…rispetto a quello che si sente alla televisione…forse io…

O: Anna, da quanto tempo è sposata con…?

A: Matteo. Ci siamo conosciuti nel 2002 e sposati dopo un anno e mezzo. Avevo solo 24 anni…Sa…forse ho fatto tutto troppo in fretta, anche Matteo me lo ha sempre detto: “ se il nostro matrimonio non funziona è per colpa tua, tu hai voluto fare subito la Sofia, quando non sei capace neanche a fare la moglie, figuriamoci la madre!”. Quando l’ho conosciuto era diverso: per lui esistevo solo io…ero la sua “Regina”… diceva … poi la “regina” ha dovuto imparare ad ubbidire e a stare zitta!

O: … ha dovuto ubbidire e stare zitta…Cosa succedeva Anna quando non ubbidiva?

A: lo facevo arrabbiare… Sì, che stupida! Sapevo cosa lo irritava eppure non riuscivo a stare zitta a non farlo arrabbiare! Ma ora ho imparato. So come devo fare, come mi devo comportare…

O: Anna … quando Matteo si arrabbia, come si arrabbia?

A: No…vede…lui non è un uomo violento, è che si infuoca per nulla, una frase detta nel momento sbagliato…e poi…quegli occhi…quello sguardo gelido…

O: quindi Anna, mi dica se ho capito, lei ora ha imparato cosa deve fare o non fare per non far più arrabbiare Matteo ma questa cosa non la fa lo stesso stare bene…?

A: sì…è proprio così. La mia testa non smette mai di pensare… : “questa cosa gliela dico? Non gliela dico!? La bambina sta male…lo chiamo, non lo chiamo!? Per non parlare di quando torna stanco da lavoro e ho sbagliato a preparare la cena…

O: Anna mi può raccontare per favore un episodio in cui Matteo si è arrabbiato tanto…un episodio che l’ha fatta stare male…?

 

Lo spettacolo si concludeva così, con quella domanda che apriva a mille possibili tragici risvolti. Ogni spettatore, in cuor suo, avrebbe dato a quello spazio aperto un’immagine di violenza, la sua immagine di violenza.

Perché la violenza è innanzitutto un’immagine, per taluni estrema, “come quelle che si sentono in tv” dice Anna. Ma quante volte quei lividi e quel sangue non si vedono? Quante volte riguardano donne che abbiamo vicino ma che tengono per sé il proprio dolore.

«Aprite quella porta» fu pensato proprio così, perché fossero portate in scena quelle violenze che difficilmente parlano, o che difficilmente vengono ascoltate … Violenze ridimensionate, giustificate, violenze piene di sensi di colpa, piene dell’idea che forse «me la sono cercata», forse «se resta con lui le va bene così».

In ambito familiare si parla di maltrattamento quando, in un rapporto di coppia, vi è una forte disparità di potere fra i due partners e quando questo potere è esercitato in maniera violenta e reiterata nel tempo da uno dei due ai danni dell’altro. La violenza può essere fisica, verbale, psicologica, economica e sessuale.

Ma come mai le donne non riescono ad uscirne?

Leonor Walker prova a rispondere a questa domanda descrivendo il maltrattamento come un’alternanza ciclica di fasi, un’alternanza di atteggiamenti ostili e violenti con atteggiamenti opposti di cura e affettività che costruisce una trappola da cui è difficile liberarsi.

Il ciclo della violenza:

Fase di crescita tensione ovvero camminare sulle uova

In questa fase si assiste a un graduale aumento della tensione.

L’uomo inizia a mostrare un atteggiamento ambiguo scontroso e distaccato che provoca confusione nella donna e una paura di un abbandono. Durante questa fase possono verificarsi scenate di gelosia, grida, recriminazioni e umiliazioni e la donna cerca di adottare dei comportamenti accomodanti per contenere le reazioni del compagno.

Gli insulti e la violenza verbale vengono comunque visti dalle vittime ancora come eventi sporadici e il più delle volte gestibili, anche se il partner è descritto, in questa fase, come facilmente irritabile. Le donne raccontano di sentirsi in un equilibrio costantemente precario «come camminassero sulle uova» e tendono ad incolparsi quando non riescono a tenere a bada la situazione.

Fase di maltrattamento

È la fase più breve. Coincide col momento in cui si manifesta la violenza vera e propria. C’è una totale mancanza di controllo da parte dell’aggressore e si verificano aggressioni fisiche, psicologiche e/o sessuali.

Fase di tregua e riconciliazione, «la luna di miele»

In questa fase del ciclo dell’abuso di solito il partner chiede scusa per le sue azioni e promette di cambiare. Si mostra pentito, affettuoso, premuroso, fa dei regali Si serve di strategie di manipolazione emotiva affinché la donna recuperi l’immagine dell’uomo di cui lei si è innamorata e la relazione continui.

A questo punto la tensione accumulata nelle due precedenti fasi sembra sparire.

La fase finisce quando dalla calma si passa nuovamente alle discussioni e alle vessazioni.

Nei primi episodi di violenza, la fase il periodo della falsa riappacificazione ha un tempo generalmente più a lungo; mano a mano che gli episodi tendono a ripetersi la durata si abbrevia.

I meccanismi che favoriscono il ciclo della violenza fanno capo, innanzitutto, alla negazione della violenza stessa da parte dell’uomo attraverso atteggiamenti di minimizzazione, razionalizzazione e giustificazione dell’atto violento: «Sei tu che mi hai provocato», «ti ho spinta non ti ho picchiato», ecc…

Ma la violenza ha una dinamica subdola che ritroviamo spesso nei racconti delle donne. Questi uomini, all’inizio della relazione, sono estremamente presenti, pieni di attenzione, totalizzanti. Le loro compagne narrano storie di un isolamento graduale dalla famiglia e dalle amicizie. L’unico rapporto che ha valore di essere vissuto  appare quello della coppia.

A questa fase estremamente fusionale e di isolamento sociale si lega quella della umiliazione attraverso frasi svalutanti che vanno a minare la persona nel profondo, nella propria autostima. Quando si attiva l’esperienza di violenza fisica la donna ha ormai perso fiducia in sé e nelle sua capacità e sperimenta un dolorosissimo senso di inadeguatezza «non sono degna di essere amata», «l’unica persona su cui posso contare è lui». Si resta ingabbiati in una storia violenta perché si crede di non essere meritevoli di un amore sano. Il comportamento manipolatorio dell’uomo narcisista e violento ha colpito nel segno!

Le storie di queste donne sono storie che coinvolgono l’intero nucleo familiare. I bambini che vivono esperienze di questo tipo e che assistono a comportamenti violenti sono anch’essi vittime. Molte donne non trovano il coraggio di lasciare il proprio compagno per un senso di colpa: temono ritorsioni e si sentono addosso tutta la responsabilità nei confronti dei figli per i quali avevano sognato una vita familiare felice.

Sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne è fondamentale affinché chi vive questa situazione trovi il coraggio di uscire da quelle dinamiche, per il suo bene e per  il bene dei suoi propri figli. Non si è egoiste nel desiderare una vita migliore, non si è egoiste se si chiede alla vita di essere amati.

Se pensi di vivere una situazione difficile, se ti rivedi nelle dinamiche qui descritte e hai bisogno di chiedere aiuto puoi contattare il numero verde 1522 o i numeri diretti dei Centri Antiviolenza. Se abiti nella provincia di Firenze puoi chiamare il Centro Artemisia al numero 055601375, se abiti nella provincia di Prato puoi chiamare il Centro La Nara al numero 057434472.

EMANUELA EBOLI

 

 

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