Kapo: “Unico partito di sinistra? Conta di più un’alleanza forte”

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Oltre alle questione cittadine (LEGGI QUI), con l’assessore ai lavori pubblici del Comune di Sesto, Diana Kapo, ci siamo soffermati anche sulla sinistra, il suo futuro e i migranti.

Sei entrata nella segreteria regionale di Sinistra Italiana. Come vi state muovendo in termini di alleanze a livello locale? A livello nazionale pare che le idee non siano molto chiare per quanto riguarda sempre le alleanze: Pisapia, Civati, SI, Articolo Uno. Riuscirete a trovare un comune denominatore?
Io ho la percezione che la politica locale sia arrivata prima di quella nazionale e non è solo il caso di Sesto. L’indirizzo del segretario Nicola Fratoianni è chiaro: dov’è possibile, è necessario lavorare per un progetto unitario, inteso cioè non come unione dentro un partito, ma come lavoro su punti condivisi. In alcuni posti, come Sesto, questo lavoro si è svolto in maniera naturale. Sesto ha l’unico sindaco di SI in Italia“.

Appunto: Sesto è l’isola felice di Sinistra Italiana.
E’ vero (ride, ndr). E di conseguenza abbiamo tante responsabilità. Gli aderenti di Sinistra Italiana e quelli di Articolo Uno hanno una visione comune su tanti aspetti“.

Non c’è allora il modo, o la voglia, di unirsi?
L’obiettivo non è questo. Costituire una sorta di nuovo Pd con l’unione di tanti partiti diversi non è nelle nostre corde. Bisogna, invece, fare un’alleanza forte che veda i protagonisti impegnati nel progetto“.

Ma non c’è il rischio di non essere capiti?
La sinistra è complessa, non solo in Italia, e ha grandi responsabilità, su tutte quella di dare risposte all’attuale società. Per troppo tempo la sinistra si è concentrata su altro, finendo col creare un vuoto fagocitato dal Movimento 5 Stelle“.

A tuo avviso ci potrebbe essere in Italia un altro caso Sesto per quanto riguarda sempre Sinistra Italiana?
Bisogna pensare che il dato delle elezioni non è quello delle amministrative. Alle amministrative il cittadino vota il candidato che ha un progetto serio per la città. Lorenzo Falchi ha vinto perché ha portato un progetto e perché era circondato da persone che conoscono la città, vogliose di mettere a disposizione le proprie idee. Il ‘progetto’ può essere esportato, ma la condizione necessaria è quella di avere contenuti e una squadra che conosce la città. Puoi avere anche lo spin doctor di Obama, ma se, ripeto, non conosci la città e i bisogni delle persone, non vai da nessuna parte“.

Nella segreteria regionale di Sinistra Italiana ti occupi di immigrazione e diritti umani. Cosa ti senti di dire a quelli che “condensano” i problemi della società di oggi nella parola migrante?
Usare il più debole come capro espiatorio è funzionale, da sempre, a chi vuole distogliere l’attenzione da altri problemi. Sono preoccupata perché ora, rispetto a quando ho iniziato a fare politica dieci anni fa, la percezione del diverso è differente. C’erano uno spirito solidale più forte e una maggiore attenzione alla geopolitica. Tutto questo è andato, via via, prosciugandosi. Do la colpa, prima di tutto, al centrosinistra che non è stato capace di difendere questo tema. I diritti, l’uguaglianza, la lotta al razzismo, la lotta al fascismo sono argomenti che non vanno dati per scontati, sui quali è necessario lavorare costantemente. Sono tre i fronti su cui dobbiamo impegnarci: quello dell’immigrazione stanziale, perché ci sono cinque milioni di persone che vivono e lavorano in Italia contribuendo al Pil nazionale. C’è poi il fronte della nuova generazione, con un milione di nuovi italiani, davanti ai quali non si può far finta di niente. Io stessa che sono arrivata in Italia dall’Albania nel 1992 e ho preso la cittadinanza nel 2010 non mi sono mai sentita discriminata da chi mi circondava, ma da uno Stato che non mi riconosceva come parte della comunità. Chiariamo un aspetto: anche la legge sullo Ius soli, affossata in queste settimane, sarebbe stata una legge temperata, nonostante la campagna mediatica costruita intorno da molte forze politiche. L’ultimo fronte su cui è necessario lavorare è quello dei rifugiati. Noi ci stiamo abituando al dolore e a considerarlo normale. Nessuno si scandalizza se per l’accordo siglato dal governo, le persone richiedenti rifugio sono bloccate in dei lager in Libia, non in dei centri di accoglienza. Non vediamo più i barconi arrivare, ma non per questo il problema è risolto. Nascondiamo la testa sotto la sabbia e abbiamo, tutti, Europa in testa, delle grandi responsabilità“.

STEFANO NICCOLI

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