Inchiesta su Monte Morello: intervista all’agronomo Paolo Calosi

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Prima Punta
Prima Punta - Foto di Cai Sesto Fiorentino

Monte Morello per la sua posizione e per la sua ricca vegetazione rappresenta un insostituibile polmone verde per tutti gli abitanti della conca fiorentina, ma anche di una parte del Mugello.

I sestesi, poi, lo considerano la loro montagna ed è difficile che la mattina non gettino il loro sguardo verso la montagna dalle tre punte che ha vegliato su di loro tutta la notte. I vecchi osservavano Morello per capire l’evoluzione del tempo, noi oggi lo consideriamo una risorsa naturale impagabile ed è quindi normale che ci si interroghi sul suo stato di salute.

Negli anni del dopoguerra ci siamo abituati a una “lenta” evoluzione, ma oggi il vedere la prima punta spelacchiata, zone di diradamento e altre, viceversa, di bosco anche troppo fitto, reca qualche preoccupazione e per questo TuttoSesto ha deciso di raccogliere le opinioni sullo stato di salute della montagna a chi, per professione o per volontariato, si dedica a vario titolo alla cura o allo studio di questo territorio.

Per fortuna il nostro interlocutore, l’agronomo dottor Paolo Calosi, con le sue prime parole almeno in parte ci rassicura: “Le variazioni estetiche del bosco sono in continua progressione. Il bosco è a tutti gli effetti una cultura agraria, come il grano o il ravanello. Quello che cambia è il ciclo di vita. Quindi nessuna preoccupazione se il paesaggio cambia, ma grande deve essere l’attenzione al come cambia”.

In questa seconda puntata ci occuperemo, in particolare, dello stato di salute degli alberi. Per farlo è necessario qualche passo indietro nella storia del territorio ricordando che a partire dal XIII secolo i dignitari del Comune di Firenze decisero di tagliare i boschi allo scopo di permettere ai venti provenienti da nord di mantenere pulita l’aria di Firenze dalle esalazioni stagnanti ritenute la causa delle frequenti epidemie di peste; e che, viceversa, all’inizio del ‘900 fu deciso il rimboschimento.

E’ proprio da quest’ultimo fatto che parte la nostra intervista a Paolo Calosi:

“Il rimboschimento di Monte Morello è avvenuto nel secolo scorso grazie all’ex Azienda di Stato Foreste Demaniali. Nella parte più alta del monte si fece largo uso di conifere, in particolare di cipresso e pino nero. Piante che vengono definite anche specie pioniere in quanto il loro cascame consente la ricostituzione del terriccio e donano fertilità al terreno. L’obiettivo era quello di ricreare un ambiente adeguato per le latifoglie che pian piano si sarebbero dovute inserire per disseminazione fra le stesse conifere e sostituirle. Questo sarebbe potuto accadere solo se si fossero rispettate tutte le tappe previste per la cura del bosco.

Le fustaie presenti su Monte Morello sono boschi artificiali ottenuti grazie a un impianto a buche. All’epoca l’Azienda di Stato Foreste Demaniali si avvalse della collaborazione dei contadini della zona che furono pagati a numero di piante. Il rimboschimento di Morello, quindi, fu anche un fenomeno sociale in quanto in grado di creare un’economia locale di sostegno agli stessi contadini. Fino a qui, dunque, un’opera non solo imponente ed economicamente gravosa, ma soprattutto ampiamente meritoria. Quelli che sono mancati sono i passaggi successivi.

Dopo 25-30 anni si sarebbe dovuto effettuare il primo diradamento. A 70 anni ci sarebbe dovuto essere il secondo. A 110 l’ultimo taglio di diradamento, a 150 anni il taglio raso e la rinnovazione artificiale se quella naturale non avesse sortito l’effetto desiderato. Al di sopra della panoramica dei Colli Alti, queste operazioni avrebbe dovuto condurle la Provincia (poi Città Metropolitana). L’occupazione da parte dell’ente pubblico ha impedito anche l’intervento dei singoli proprietari qualora ne avessero avuta l’intenzione.

Discorso un po’ diverso riguarda il bosco ceduo che occupa, mediamente, la parte un po’ più bassa del monte. Tale bosco è costituito da latifoglie che una volta tagliate (ceduate) non devono essere più toccate per almeno 17 anni (il tempo varia in base ad alcuni elementi come la fertilità del suolo, l’estensione e il clima). 

Monte Morello
Foto: TuttoSesto

Il bosco ceduo è la forma più antica di cura del bosco. Durante il taglio si seleziona una pianta sana ogni 12 metri circa. Intorno ad essa si lasciano le ceppaie tagliate in maniera adeguata e in modo da non provocare un ristagno d’acqua.

Con il tempo la ceppaia, oltre che continuare a impedire le frane, rivegeta e le radici si rinnovano, si espandono e si legano con quelle delle piante circostanti creando quella che si chiama fitosocialità. E’ bene quindi segnalare ai camminatori della domenica che il taglio non è disboscamento, ma cura e coltivazione del bosco. Questo tipo di taglio in certi casi, e grazie ad alcuni proprietari, è avvenuto.

Tornando all’intervento pubblico è necessario sottolineare quanto sarebbe, e sarebbe stato, gravoso da un punto di vista economico. Dal punto di vista dei tempi è poi necessario considerare che il primo intervento sarebbe dovuto cadere più meno negli anni della guerra. E’ evidente che all’epoca le priorità erano altre.

Sta di fatto che, per tali motivi, le attuali fustaie sono in sofferenza. Sono sovra numerarie. I diametri delle piante, a parità di età, sono troppo variabili a causa della carenza di acqua e di luce per alcune di esse. La presenza di alberi lunghi e sottili, a sua volta, è potenzialmente responsabile dell’effetto domino: un albero che cade provoca la caduta anche di quelli accanto. Un po’ come è successo sulle Dolomiti, solo che lì il problema è stato il vento fortissimo, qui potrebbe essere la cattiva cura del bosco, soprattutto quello di pino nero.

Oggi osserviamo che la mancanza di cura ha determinato la caduta di molti alberi producendo un’eccessiva quantità di necromassa che si accompagna alla presenza d’insetti e batteri che, a loro volta, provocano la malattie delle radici di altre piante che schiantano e crollano. Per evitare un circolo vizioso sarebbe quindi opportuno togliere gli alberi caduti. Fino agli anni ’60 del secolo scorso questo pericolo veniva scongiurato dall’opera dei contadini che raccoglievano gli alberi caduti per farne legna da ardere. Con l’avvento di nuovi sistemi di riscaldamento l’albero caduto tende a rimanere dov’è creando i problemi sovracitati”.

Supponiamo che improvvisamente tutti i problemi che hanno impedito il giusto mantenimento del bosco scompaiano: cosa si dovrebbe fare e chi lo dovrebbe fare?
“A mio giudizio saremmo ancora in tempo a effettuare alcuni diradamenti selettivi. Si potrebbe procedere con gli impianti a buche. Per esempio in un bosco troppo fitto si potrebbero individuare zone più deboli, rasarle e ripiantare. Sarebbe un modo di saltare le fasi intermedie e pian piano tornare alle fustaie.

Si potrebbe anche ricorrere alla selvicultura d’albero cioè s’individua un albero particolarmente bello, sicuro e sano, si pulisce tutto attorno per 6-700 metri quadrati e poi gli si ricostituisce intorno il bosco. Pezzetto per pezzetto.

Per quanto riguarda il ‘chi’ si torna a quanto detto prima. Sopra la panoramica toccherebbe alla Città Metropolitana che ha il diritto dell’occupazione proprio in funzione del rimboschimento, ma è evidente che non si tratta di un intervento con carattere di economicità visto il basso valore del legno delle conifere. Leggermente diverso è il discorso per i boschi decidui dove i margini di economicità rimangono stretti, ma forse praticabili. Il problema è che, soprattutto nella zona di Ceppeto, la frammentazione del territorio è talmente elevata che diventa difficile pensare a interventi organici”.

STEFANO NICCOLI e DANIELE NICCOLI

 

 

 

 

1 COMMENTO

  1. Da qualche anno la Toscana ha affiancato ai Piani Antincendio Boschivi i Piani Specifici per la Prevenzione degli incendi boschivi PSAIB. Il primo piano triennale degli PSAIB non ha compreso il comune di Sesto Fiorentino con Monte Morello, nonostante sia classificato “ad alto rischio incendi”. I comuni di. Prato e Calenzano hanno avuto il PSAIB della Calvana, ad esempio. Noi nulla. Eppure l’innovazione dei PSAIB sta nel fatto che sono vincolanti per i privati proprietari dei boschi ( il 90% dei boschi di Monte Morello sono privati) e che stanziano quattrini pubblici per realizzare le opere di prevenzione. Ora è stato approvato il nuovo Piani triennale regionale 2023-2025 ( gli PSAIB sono di competenza regionale). Sarà stato inserito il nostro Monte Morello? L’ associazione Antico Borgo di Querceto assieme al CAI ed alla Racchetta ha sollecitato a suo tempo l’Amministrazione affinché intervenisse presso la Regione, come normalmente hanno fatto i comuni già inseriti. Ci auguriamo di sì e magari che una parte dei due miliardi del Pnrr finanziati per l’ambiente della Toscana siano destinati ad evitare catastrofi come quella che colpì il Monte Serra. Grazie per l’ospitalità e buon 25 Aprile !

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