Per altre vie: “Mediazione familiare ovvero “quando mamma e papà si separano e decidono di non farsi la guerra”

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Torna l’appuntamento con la rubrica settimanale “Per altre vie” dedicata alla psicologia e curata da Emanuela Eboli. Se questi giorni ti stanno mettendo a dura prova, se hai bisogno di qualche piccolo consiglio per alleggerire e rendere più serene le giornate e il rapporto con i tuoi figli o se vuoi offrire una tua riflessione, la tua esperienza perché possa essere di aiuto a chi ci legge puoi scrivere a [email protected]. Gli articoli saranno pubblicati tutti i mercoledì.

La premessa obbligatoria al tema di oggi è che quando ci sono dei figli e ci si separa o si conclude una relazione, la coppia genitoriale resta tale per tutta la vita. Resta negli obblighi e nelle responsabilità nei confronti dei figli e nel diritto dei minori alla bigenitorialità.

Un concetto semplice, per taluni aspetti scontato, che alcune volte diviene complesso quando debba essere messo in pratica.

Per tale motivo ci si può affidare ad un Mediatore Familiare o ad un Coordinatore Genitoriale, figure che entrano in supporto alla genitorialità quando la coppia decida di separarsi o quando sia già separata.

Altra premessa importante è che la Mediazione Familiare non va confusa con la Terapia Familiare che è invece un percorso di supporto psicologico teso a recuperare il rapporto in crisi.

La Mediazione Familiare nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60 e da qui si diffonde in Canada e, successivamente, in tutta l’Europa occidentale, specie nei paesi di lingua inglese e francese, facendosi strada in Italia solo a partire dagli anni ’90 e ciò in seguito all’incremento del numero delle separazioni e dei divorzi.

In Italia la Legge n. 54 dell’8 febbraio 2006, sull’affidamento condiviso, intervenuta per riformare alcune norme del codice civile relative al diritto di famiglia, stabilisce il diritto dei minori alla bigenitorialità e prevede espressamente il ricorso alla figura del Mediatore da parte dei coniugi in via di separazione.

La Mediazione Familiare è un intervento teso a ridurre la conflittualità nella separazione e nel divorzio al fine di raggiungere un accordo equo e liberamente accettato dalle parti; ha in sé una funzione informativa e formativa, affinché la coppia diventi il più possibile collaborativa. La Mediazione si propone come spazio d’ascolto attivo e di contenimento delle emozioni e delle ansie, legate all’evento critico della separazione e, laddove vi siano dei figli, si offre come strumento per valorizzare l’immagine e la responsabilità genitoriale al fine di tutelare lo sviluppo psico-affettivo dei minori.

Questo tipo di intervento, come ogni tipo di intervento di supporto psicologico o di counseling, necessita della scelta volontaria di chi ne fa richiesta: la coppia genitoriale dovrà sentire l’esigenza di salvaguardare lo sviluppo psico-affettivo del figlio/figli e dovrà dimostrare di possedere capacità negoziali e comunicative tali da poter lavorare in questa direzione.

Il percorso e il suo esito saranno inevitabilmente influenzati dal grado di conflittualità della coppia (manifesta o non manifesta), dalla richiesta esplicita e implicita di entrambi i parteners, dal livello di separazione emotiva raggiunto, dalla disponibilità a collaborare e da eventuali disparità di potere decisionale fra i due. 

Ai genitori sarà chiesta una cooperazione nella cura e nell’educazione dei figli e di raggiungere accordi in merito che siano sì rispettosi delle esigenze e disponibilità di entrambi ma che soprattutto risultino i più adeguati alla crescita dei minori. Il Mediatore Familiare ha quindi l’arduo compito di far entrare in dialogo costruttivo le richieste e le esigenze delle parti anche quando inizialmente appaiono in antitesi. Tutto questo nell’interesse primario dello sviluppo psico-fisico dei minori ma anche nell’attenzione alle due figure adulte, ai loro bisogni e alle loro sofferenze che genera una separazione conflittuale. 

Sarebbe utopistico credere che tutte le coppie che si separano lo facciano in maniera pacifica e collaborativa. Quando ci si separa spesso la rabbia e il rancore accecano completamente e purtroppo a non essere visti finiscono per essere i bambini. Spesso le madri hanno difficoltà a guardare e accettare il diritto dei propri figli a mantenere un rapporto costante anche col padre. Potremmo dire che è la nostra società che ancora riconosce alle madri una competenza quasi congenita ad essere genitore primario mentre i padri sono ancora ritenuti dai più, genitori di serie B e genitori del w.e, per di più alternati. Dall’altra parte, purtroppo ancora troppo spesso, i padri tendono a delegare alle madri molti compiti genitoriali, presi come sono dal loro lavoro o dai loro impegni o semplicemente perché non ne sentono la responsabilità. 

Ma non sempre funziona così, per fortuna. Tantissime madri sanno di non avere nessuna competenza che non possa avere anche un padre, tantissime madri desiderano condividere i compiti di cura, educazione ed istruzione. E molti padri chiedono di partecipare attivamente alla vita dei loro figli e di poter essere per loro una presenza costante.

Quando ci si separa però può accadere che le posizioni si irrigidiscano e che emergano recriminazioni e accuse reciproche.

Non tutte le persone che si avvicinano alla Mediazione Familiare infatti sono disposte a modificare aspetti troppo profondi del loro agire, del loro pensare; spesso la richiesta più frequente è di natura completamente opposta: “le cose sono così!… queste sono le mie ragioni, queste sono tutte le sue mancanze, ci aiuti ora per favore lei a gestire nostro figlio perché noi due non troveremo mai un modo comune per farlo!”.

Allora la Mediazione Familiare deve anzitutto offrirsi come luogo neutro, disposto anche (in prima istanza) ad accogliere queste richieste; il Mediatore decide di stare nel conflitto portato dalla coppia, di stare nelle rivendicazione, di stare per esserci.

La Mediazione Familiare va infatti pensata come “…un nuovo orizzonte per andare oltre i litigi: per la coppia in crisi è una proposta di un’esperienza di pensiero e di un luogo di parola” (Cucinato, Cristante, Abbele, 1999), per taluni “una scoperta di senso, che sarà possibile ripetere con altri, con il nuovo partner, e con i figli”, (Ardone, Mazzoni, 1994).

La relazione di aiuto deve tradursi quindi in spinta verso il cambiamento; un’evoluzione che permetta di trovare soluzioni là dove non si era mai cercato, un’evoluzione che sveli che ciò che assilla non è il problema che si vive ma l’incapacità di trovare strategie adeguate per risolverlo, un’evoluzione che sappia accogliere la frustrazione di un rapporto che non ha funzionato… un’evoluzione che porti ad acquisire nuove e molteplici possibilità di lettura della realtà che ci circonda e che sappia rivolgere lo sguardo ai bisogni e ai dolori dei figli.

EMANUELA EBOLI

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