25 gennaio 1449 – Il processo al pievano Arlotto

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La Mula
Foto tratta dala pagina Facebook di Sesto Com'era

Sesto giorno per giorno la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro Sesto una bella storia e Sesto Fiorentino, i giorni della nostra storia

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l’anima che hai (Francesco Guccini)

Sesto giorno per giorno

25 gennaio 1449 – Il processo al pievano Arlotto

Nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti si trova un quadro di Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano, che ha come sfondo uno degli edifici più antichi e famosi di Sesto Fiorentino: la Villa della Mula. Edificio che durante il medioevo apparteneva alla famiglia Della Tosa.
Durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio, tra il 1481 e il 1484, sotto la villa fu scoperta una tomba etrusca risalente al VII secolo a.C. La villa prese il nome proprio dalla tomba e da un vecchio detto popolare che faceva presagire la presenza in questa zona di tesori sotterrati:

Fra Quinto, Sesto e Colonnata
giace una mula d’oro sotterrata

La tomba de La Mula, con la sua camera di quasi 10 metri di diametro, è la più ampia tholos conosciuta dell’epoca preromana ed è caratterizzata dall’assenza del pilastro centrale presente, invece, nella cugina Montagnola. La ricercatrice Carlotta Cianferoni, a proposito della tomba, riporta un’antica leggenda secondo la quale Filippo Brunelleschi, imparentato con i Dei, nuovi proprietari della villa, avrebbe visitato la Mula prima di dare inizio alla costruzione della Cupola di Santa Maria del Fiore e avrebbe così commentato:

Ai piedi di Monte Morello esistono dei tumuli a forma d’uova di struzzo

Ne La burla del pievano Arlotto del Volterrano la villa rappresenta lo sfondo scenografico di uno degli ‘scherzi da prete’ di Arlotto Mainardi che nel Quattrocento fu parroco della Chiesa di San Cresci a Macioli, vicino a Pratolino. Un personaggio rimasto famoso per le proverbiali battute che gli conferirono una discreta fama.

Nel caso specifico il pievano partecipa a un pranzo insieme ad altri preti più giovani ma poco rispettosi visto che, d’accordo con l’oste, lo spediscono più volte a prendere il vino in cantina. Infastidito dal comportamento dei commensali, scende controvoglia le scale e torna a tavola con la caraffa piena, ma si vendica nei confronti di chi è rimasto comodamente seduto fingendo di aver dimenticato la botte del vino aperta. Il quadro immortala il momento in cui l’oste salta dalla seggiola per correre in cantina mentre gli ospiti seguono divertiti la scena.

Quando il pievano Arlotto dovette interrompere, per ragioni anagrafiche, la sua attività, trovò ospitalità presso l’ospizio dei Pretoni (vecchi parroci) che aveva sede nell’attuale oratorio di Gesù Pellegrino, all’angolo fra via San Gallo e via degli Arazzieri a Firenze. Anche nel momento immediatamente precedente al trapasso Arlotto non smentì il suo spirito boccaccesco, e quando si trattò di preparare l’epigrafe per la sua tomba così si espresse:

Questa sipoltura a facto fare il Piovano Arlocto
per se e per tucte quelle persone
le quali drento entrare vi volessino

Dopo la morte del priore, un amico pubblicò un volumetto intitolato Motti e Facezie del Pievano Arlotto in cui si elencavano gli scherzi di cui si era reso protagonista il Mainardi durante la sua vita. La personalità del prete doveva essere molto più complessa rispetto a quella che appare dal libro. Forse meno burlona. Più mondana. Sicuramente meno edificante.

Nel 1431 Arlotto Mainardi fu punito, insieme ad altri cappellani, per reati di cui non si conoscono i particolari. Più dettagliati sono invece i fatti per cui fu processato dalle autorità ecclesiastiche il 25 gennaio 1449. Gli inquietanti capi d’accusa comprendevano la vendita delle campane della chiesa e la deflorazione di vergini. Per chi crede a certe coincidenze, si può dire che quell’ aspetto poco lodevole del pievano era già racchiuso nel nome considerato che Arlot in provenzale significa gaglioffo.

Daniele Niccoli

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