Mattei (Italia Viva): “Chi tutela la salute dei nostri eroi?”

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Riceviamo e pubblichiamo il seguente comunicato di Luigi Mattei, candidato alle elezioni regionali del 20 e 21 settembre per Italia Viva nel collegio Firenze 4 (Piana). L’esponente del partito guidato dall’ex premier Matteo Renzi interviene  in occasione de “La giornata Nazionale contro la violenza sugli operatori sanitari“.

L’emergenza planetaria è ancora drammaticamente in corso, ma fino al 20 settembre sono sospesi i gridi di allarme per la pandemia e tutti i dati dei tamponi, dei ricoverati in terapia intensiva, dei positivi e dei decessi devono essere “trattati” prima di essere diffusi per invitare alla massima prudenza, ma senza creare allarme.

Sicuramente è vietato parlare di “lockdown” (in italiano è “confinamento”, ma in inglese sembra più politicamente corretto), perché ogni riferimento fa calare l’audience.

Dopo il voto si vedrà, intanto è chiaro che non abbiamo più bisogno di “eroi”, visto che sono riprese in tutta Italia le “tradizionali” aggressioni ai sanitari da parte di pazienti e familiari nei pronto soccorso, dalle guardie mediche e nei reparti ospedalieri; oltre a ciò il mondo sanitario è tornato sotto processo e in primo piano nei soliti modi contraddittori e, spesso, persino paradossali del periodo pre-covid.

Sedato ogni richiamo alla paura e passata l’ondata emotiva iniziale, quindi, quelli che erano chiamati pubblicamente “eroi” vengono in numero di otto e più al giorno (ma è una sottostima) aggrediti fisicamente in ogni parte d’Italia.

Partendo dal presupposto (quasi un assioma) che le aggressioni non fanno parte dell’attività sanitaria, sia essa professionale o su base volontaria, il problema sono quindi le misure di prevenzione e contrasto del fenomeno, che devono ormai essere considerate una vera e urgente necessità.

Contesti stressanti e ormai noti, al punto che si parla di crollo ed esaurimento professionale e individuale (“burnout”) di medici e infermieri, con la fuga di specialisti che cercano di evitare l’assegnazione ai luoghi di maggior rischio (Pronto Soccorso e reparti di area critica, ad esempio).

A fianco di tutto ciò si sono dispiegati gli effetti dei tagli alla sicurezza, che hanno prodotto tra i loro primi effetti la frequente chiusura dei posti fissi di Polizia negli Ospedali.

Quindi: chi sta tutelando oggi la salute dei nostri “eroi”?

Il tema oggi è quindi fortemente politico e culturale, perché dalle ricerche fatte da sindacati e assicurazioni sembra che oltre il 50 per cento del personale sanitario intervistato ignora che le aggressioni sono un “evento sentinella” che la propria Direzione Aziendale dovrebbe elaborare come parametro in termini di sicurezza sul posto di lavoro (Raccomandazione n. 8 dei 2007 del Ministero della Salute) e che 18 aggressioni (con lesioni) su 100 non vengono nemmeno riconosciute come causa di servizio.

Siamo in piena regressione formativa e organizzativa, a discapito di chi garantisce i livelli di qualità del servizio sanitario regionale e nazionale e i parametri dei L.E.A. (Livelli Essenziali di Assistenza), definiti con il DPCM del 29 novembre 2001, in vigore dal 23 febbraio 2002.

Oggi (13 settembre) è “La giornata Nazionale contro la violenza sugli operatori sanitari”, ma ben pochi sanno che è stata istituita in memoria della morte annunciata della dottoressa Paola Labriola, uccisa 7 anni fa mentre era in servizio al reparto psichiatria al CSM (Centro di Salute Mentale) di Bari con 28 coltellate inferte da un paziente.

A nulla erano infatti servite le precedenti segnalazioni di “eventi sentinella” (pesanti aggressioni verbali, minacce ed intimidazioni agli operatori) e le richieste di aiuto (almeno una guardia giurata) che lei stessa aveva rivolto alla Asl proprio sulla mancata sicurezza dei luoghi di lavoro; nei verbali dei Carabinieri la dottoressa denunciava “siamo tutti vulnerabili”, e dopo la sua morte si legge che “tale aggressione è dovuta alla mancata sicurezza degli ambienti di lavoro a causa del facile accesso da parte di chiunque al servizio, sia per la conformazione non funzionale degli spazi dell’ambulatorio, che per l’assenza di personale di controllo”.

Dobbiamo impegnarci ad una analisi obiettiva e utile del fenomeno, perché la politica serve a questo: togliere il velo del silenzio dai problemi e trovare le migliori soluzioni.

Cominciamo col dire che le cause delle aggressioni, secondo i medici e gli infermieri intervistati, sarebbero per un terzo dovute a fattori socioculturali, per un quarto al finanziamento insufficiente del SSN, per un quinto alle carenze organizzative delle Aziende e per un decimo alla comunicazione interna ed esterna inadeguata.

L’incremento degli atti di violenza negli ultimi anni sembra invece dovuto a fattori intrinseci ed estrinseci alla violenza, quali:

• l’aumento di pazienti con disturbi psichiatrici dimessi dalle strutture ospedaliere e residenziali e gestiti prevalentemente dai CSM territoriali;

• la diffusione dell’abuso di alcol e droga;

• l’accesso indiscriminato di visitatori presso ospedali e strutture ambulatoriali, che trasformano

spesso gli ambienti sanitari in ricoveri anti-igienici di senzatetto o emarginati di varia natura;

• le lunghe attese nelle zone di emergenza o nelle aree cliniche, spesso nelle condizioni sopra

descritte, che alimenta nei pazienti o accompagnatori lo stato di frustrazione;

 • il ridotto numero di personale, che incide nelle attività sanitarie e nello “scambio di consegne” tra operatori di turni contigui;

• la presenza di un solo operatore a contatto con il paziente in tutte le fasi del trattamento sanitario anche in luoghi isolati, spesso in assenza di mezzi di segnalazione e allarme;

• la mancanza di formazione adeguata del personale verso il problema, soprattutto nel riconoscimento, controllo e gestione dei comportamenti ostili e aggressivi e nell’utilizzo di una comunicazione interpersonale efficace;

• le caratteristiche strutturali di edilizia sanitaria che presentano spesso gravi anomalie sotto il profilo della sicurezza, dalle vie di fuga inadeguate ad una errata ubicazione e distribuzione degli spazi;

• la scarsa illuminazione delle aree di parcheggio e nelle ore notturne;

• la cronica mancanza di vigilanza ed impianti di videosorveglianza e il loro presidio.

Queste sono le ragioni per cui il tema della violenza sul posto di lavoro e l’aggressione nei settori della sanità e nei servizi sociali devono avere per me una posizione centrale nel programmi di politica regionale e,

di conseguenza, di quella governativa nazionale.

In linea con l’approvazione quasi all’unanimità del ddl S.867 in data 25 settembre 2019“ Disposizioni in

materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”,già approvato al Senato, è compito della Regione promuovere l’attuazione dello stesso , coinvolgendo non solo la dirigenza e il personale dei presidi ospedalieri ma anche tutte le realtà del territorio che sono state fino ad oggi le vere sentinelle del problema, in primo luogo le Organizzazioni Sindacali.

Italia Viva intende agire su più livelli:

Anzitutto la Regione deve essere punto di riferimento per la creazione di gruppi di studio e di lavoro multidisciplinari per la prevenzione, protezione e gestione del rischio derivante da atti di violenza in ambito sanitario, nei quali dovranno essere presenti necessariamente le figure di riferimento delle strutture ospedaliere e territoriali, quelle sindacali, quelle della pubblica sicurezza, delle strutture sanitarie private, delle farmacie, dei servizi sociali e dei servizi di soccorso volontari sia sanitario che di protezione civile in campo sanitario.

Al momento in tema di sicurezza manca obiettivamente (e a questi il gruppo dovrà porre immediato rimedio):

• una vera casistica ufficiale di (tutti gli episodi di violenza), da rilevarsi con un metodo ed un modello, in linea con le disposizioni del ddl S.867 che prevede l’istituzione di un Osservatorio per la rilevazione dei casi;

• una diffusa conoscenza tra gli stessi operatori del sanitario delle norme e regolamenti vigenti ( diffusione delle buone prassi in materia di sicurezza ), coinvolgendo la Consulta delle professioni sanitarie e socio-sanitarie ( insediate il 16/01/20), rivedendo il ruolo delle Federazioni nella loro veste di enti sussidiari allo stato, per essere di supporto alle politiche di assistenza, mantenendo per ogni Federazione la piena titolarità della propria politica professionale in modo da lavorare su tre livelli ( rivedere i modelli di programmazione economica, il rapporto ospedale-territorio, dare impulso alla sanità digitale) ;

• una vera strategia di prevenzione (e gestione) degli atti di violenza in argomento, con l’indicazione e attuazione delle misure organizzative (protocolli) e strutturali;

• attuare ogni strumento di formazione del personale sanitario e volontario (del 118) in merito alla esposizione al pericolo di aggressione e gestione del rischio derivato.

Vogliamo che i nostri “eroi” non debbano più lavorare in luoghi privi di adeguate condizioni di sicurezza, né in un contesto di inciviltà che travolge anche la sicurezza di chi alla sanità si rivolge non per scelta ma per necessità.

Il progetto di promuovere l’adozione di queste linee guida regionali è quindi uno degli obiettivi di Italia Viva, perché solo orientando l’impegno di tutti gli attori della sanità regionale verso la prevenzione degli episodi di violenza e la riduzione del rischio ad esso correlato, è possibile attivare i migliori strumenti per la più alta qualità possibile del servizio, a vantaggio di tutti i cittadini/utenti che frequentano le strutture di riferimento e degli operatori che garantiscono ad ogni livello, la loro incolumità e salute“.

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