11 marzo 1860 – Il plebiscito

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Lorenzo Ginori

Sesto giorno per giorno la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore dei libri Sesto una bella storia e Sesto Fiorentino – I giorni della nostra storia

Fatti e date che caratterizzano la storia e la cronaca della città di Sesto con la speranza che ci possano aiutare a conoscere la nostra semenza e a intuire il nostro futuro.

La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l’anima che hai (Francesco Guccini)

Sesto giorno per giorno

11 marzo 1860 – Il plebiscito

Nel 1860 il marchese Lorenzo Ginori fu nominato, dal Governo Provvisorio della Toscana, Gonfaloniere della Comunità di Sesto. Nel suo discorso di insediamento del 10 gennaio, con una solerzia che, riletta oggi, appare eccessiva, si proclamò suddito di re Vittorio Emanuele II prima ancora che si tenesse il plebiscito con cui la Toscana avrebbe deciso la sua annessione al Regno di Sardegna:

Onorato del suffragio dei nostri elettori e della fiducia degli incliti uomini che regnando sua Maestà Vittorio Emanuele II, il valoroso e leale difensore dei nostri diritti, stanno al governo della Toscana   (Lorenzo Ginori) 

il Marchese, d’altra parte, era cresciuto in un clima di ostilità nei confronti dei governanti austriaci. Il padre, Carlo Leopoldo, nel 1833, in polemica con il granduca si era addirittura dimesso da tutte le cariche conferitegli dai Lorena. La rivoluzione pacifica del 1859, la fuga del granduca Leopoldo II di Lorena e il crescente spirito patriottico indussero il gonfaloniere ad appoggiare spontaneamente l’annessione al regno dei Savoia. Non si pensi però che il Ginori fosse un rivoluzionario. Il Marchese era, anzi, un fervente sostenitore dell’ordine, della pace sociale e della disciplina. In più di un’occasione, per esempio, si lamentò dell’operato dei Carabinieri in quanto a suo dire non erano in grado di

incutere quel salutare timore così efficace nell’animo di quelli che dediti al male si sentono infrenati quando conoscono che la legge armata è sempre vigilante e che pronto è il meritato castigo   (Lorenzo Ginori) 

L’ordine, la disciplina e la pace sociale che tanto agognava per la prosperità della Manifattura di Doccia dovevano essere, nelle sue intenzioni, estesi a tutta la cittadinanza come condizione necessaria per il benessere e la prosperità di tutti.

In questo clima l’11 e il 12 marzo 1860 i cittadini dell’ex Granducato di toscana furono chiamati a decidere per l’Unione alla Monarchia Costituzionale del Re Vittorio Emanuele o per il Regno separato. Per l’occasione furono ridimensionati i criteri di censo che decretavano il diritto al voto, ampliando il suffragio ma, così come in altre parti d’Italia, le elezioni si svolsero senza la minima garanzia d’imparzialità e in un clima di sfacciata propaganda a favore dell’annessione.

Bettino Ricasoli, il prodittatore del Governo Provvisorio, non a caso definito il Barone di Ferro, vietò la libertà di stampa e insieme ai suoi colleghi proprietari terrieri minacciò di licenziamento i contadini che lavoravano nelle proprietà di famiglia.

Chi non vota non pota

Pare fosse il suo motto. E votare naturalmente significava farlo a favore dell’annessione, tant’è che il giorno delle elezioni il Barone ordinò al fattore delle sue terre di Brolio di accompagnare i contadini alle urne. Ovviamente la scheda a favore dell’annessione doveva essere ben in vista.

Anche Sesto risentì di questo forzato clima patriottico e, come detto, il personaggio più influente, Gonfaloniere della città, e proprietario della fabbrica più importante, il marchese Lorenzo Ginori, si era proclamato suddito del re Vittorio Emanuele senza aspettare l’esito del voto.

Oggi si griderebbe al broglio elettorale per molto meno, ma quelli erano i tempi e le condizioni e fu così che a Sesto su 3148 aventi diritto (la popolazione totale era di poco superiore alle 10 mila persone), 2706 furono i partecipanti al voto e 2622 i favorevoli all’annessione, una percentuale che oggi definiremmo bulgara.

Stato Unitario o Granducato, Sesto rimaneva un borgo agricolo per niente moderno e abitato soprattutto da poveri. Secondo il censimento del 1861 i 10.941 sestesi che erano appena diventati sudditi di Vittorio Emanuele II erano per la maggior parte analfabeti e poveri. Trecento erano i braccianti e 427 le famiglie di mezzadri cui facevano capo 3.567 persone che vivevano in abitazioni fatiscenti e malsane. Anche il paese era vecchio e inadeguato: la viabilità era rimasta quella descritta dalle Piante dei Capitani di parte Guelfa nel Cinquecento e l’unico edificio pubblico era il Palazzo Pretorio.

Un immagine di quel mondo misero e restìo al cambiamento ce l’ha fornita don Lino Chini con le sue Sestine dedicate agli Illustrissimi Signori Rappresentanti il Municipio:

Con gente avvezza a un far sempre villano
per le vie per le case e le botteghe
che segna le resipole e il malgrano
che crede nel malocchio e nelle streghe?
E se talvolta alcuno la riprende,
sfacciatamente si rivolta e offende?
 
Povera Musa mia in che logaccio
t’ha condannato a vivere il destino!
Piangi, bagna di lagrime il mustacchio…
ma no; spezza piuttosto il chitarrino
sul muso di que’ tangheri ostinati
che a’ beneficii tuoi son sempre grati

Ah! Prima che il progresso abbia conquisto
il popol di Padule, c’è che ire:
Finchè non vien nel mondo l’Anticristo
E’ impossibile e que’ cosi convertire
a Civiltà fanno sempre faccia bieca
e la loro testa è una lanterna cieca

I tempi per le rivendicazioni da parte delle classi più povere non erano maturi tanto che le loro condizioni rimasero tristemente stabili ancora per diversi anni. Il gonfaloniere Ginori, preso dagli interessi della Manifattura, rassegnò le dimissioni nel 1862, ma la situazione politica rimase immutata. La città continuò a essere diretta dalla vecchia consorteria di possidenti terrieri che avevano la loro residenza nel capoluogo e che partecipavano alla vita pubblica di Sesto solo per mantenere i propri privilegi.

Daniele Niccoli

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