29 aprile 1808 – Soppressione dei conventi

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Firenze 365

Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri 

Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza   (Dante, Inferno, canto XXVI)

 

29 aprile 1808 – Soppressione dei conventi

Nella seconda metà del Settecento, per volere del Granduca Pietro Leopoldo, si procedette ad una progressiva soppressione dei conventi, delle compagnie religiose e delle confraternite di tutta la Toscana. La conseguenza fu il passaggio delle proprietà dalle mani degli ecclesiastici a quelle dei laici.

Fu solo l’inizio di una politica che condusse a utilizzare i beni religiosi per pagare il debito pubblico. Tale politica fu ancor più radicalizzata dal governo napoleonico nei primi anni dell’Ottocento. I francesi aggiunsero all’ingiustizia anche l’arroganza tanto che i loro comunicati ufficiali iniziavano sempre con un proposito secco ed imperativo: Noi vogliamo! Cioè Nous voulons, frase che i fiorentini, consapevoli dei tempi bui che si stavano approssimando, per assonanza storpiarono in “nuvoloni”.

Il primo provvedimento riguardante gli ordini religiosi è datato 29 aprile 1808. Con esso l’Amministratore generale della Toscana, Eduard Dauchy, ridusse drasticamente il numero degli istituti di religiosi e decretò il passaggio dei loro beni al Demanio con la possibilità di poterli vendere ai privati. In un primo momento si salvarono dal provvedimento alcuni ordini come quello degli Scolopi, dei Minori ma con il successivo provvedimento del 1810 il taglio fu radicale.

Il governo dei Lorena aveva soppresso circa 150 conventi in venticinque anni, i francesi ne fecero scomparire 450 in soli due anni. La soppressione degli ordini religiosi consentì lo sblocco di un immenso patrimonio artistico che, proprio in seguito a quei provvedimenti, fu inventariato e catalogato con l’intento di utilizzarlo per rimpinguare i musei francesi e in particolare il Louvre che Napoleone aveva deciso di trasformare nel museo più bello dell’universo.

Secondo calcoli approssimativi sarebbero più di cinquemila le opere d’arte che l’imperatore francese trafugò da tutta Italia. Anche Firenze pagò dazio al passaggio dell’esercito francese. Napoleone in persona dopo la visita agli Uffizi scelse di portare in Francia la “Venere Medici”, statua greca copia di un originale del V secolo a.C.

L’opera tornò a Firenze nel 1815 alla fine dell’epopea napoleonica. Sorte diversa toccò a un dipinto di Cimabue che era conservato nella chiesa di San Francesco a Pisa. L’opera fu trasportata a Parigi nel 1812 e non fu mai restituita. Pare che le grosse dimensioni ne rendessero difficile il trasporto. Certo che se aveva fatto il viaggio di andata forse poteva fare anche quello di ritorno.

Per vedere il dipinto di Cimabue quindi ci dobbiamo spostare fino a Parigi, consolandoci però con l’orgogliosa consapevolezza che la Maestà del Louvre è stata dipinta un fiorentino.

Vennero i francesi a portarci un palo e una berretta che chiamavano libertà
e ci rapirono monumenti preziosi ed averi   (Cosimo del Fante)

Daniele Niccoli

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