6 aprile 1954 – Operai in bicicletta

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Lavoratori Ginori

Sesto giorno per giorno la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore dei libri Sesto una bella storia e Sesto Fiorentino – I giorni della nostra storia

Fatti e date che caratterizzano la storia e la cronaca della città di Sesto con la speranza che ci possano aiutare a conoscere la nostra semenza e a intuire il nostro futuro.

La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l’anima che hai (Francesco Guccini)

Sesto giorno per giorno

6 aprile 1954 – Operai in bicicletta

Il conflitto sindacale fra la proprietà della Richard-Ginori e le maestranze attraversò quasi tutti gli anni ’50. Le presunte difficoltà economiche fornirono ai dirigenti il pretesto per una politica di licenziamenti che fu inaugurata nel 1950. A quella politica si opposero gli operai con rimostranze, scioperi e occupazione della fabbrica. La più plateale e spettacolare fra le proteste fu decisa nella primavera del 1954. Con l’appoggio dei compagni di lavoro e di tutta la popolazione, 71 operai (qualcuno sostiene che fossero 72), partirono in bicicletta per recarsi alla sede della Richard-Ginori. Il capo carovana, Mario Menicacci, così come tutti i suoi compagni, portava sulla schiena un panno bianco con una scritta che non lasciava dubbi sui motivi della spedizione

 

Licenziato dalla R.Ginori di Doccia-Firenze

 

Non conosciamo i motivi della R puntata, ma appare significativo come i sestesi, anche in un momento di crisi, volessero distinguere il padrone milanese dalla famiglia che aveva dato origine alla Manifattura.

Gli uomini che formavano la carovana erano di forte tempra e abituati a utilizzare la bicicletta, ma i 300 chilometri circa che separano Sesto da Milano non erano uno scherzo anche perché i mezzi, come dimostrano le foto dell’epoca, non erano proprio l’ultimo ritrovato della tecnica. La carovana fu comunque scortata, per qualsiasi evenienza, da un camioncino con a bordo il meccanico e i pezzi di ricambio delle biciclette offerti da Alfredo Martini e Gino Bartali. Lungo il percorso gli operai furono ospitati nelle Case del Popolo, nelle sedi del Partito Comunista e anche nelle semplici abitazioni di altri operai dell’Emilia Romagna e della Lombardia. Giunsero a Milano dopo quattro giorni di viaggio e finalmente il 13 aprile furono ricevuti dai dirigenti della Manifattura.

Allo stesso modo e con lo stesso straccio attaccato sulle spalle, nel luglio successivo altri 90 ciclisti-operai si recarono a Roma per consegnare in Parlamento le firme raccolte affinché la Ginori, sull’esempio della Pignone, potesse diventare un’azienda pubblica. Capo carovana fu ancora Mario Menicacci, questa volta coadiuvato da Giuliano Trallori, segretario generale della Cgil chimici. La seconda iniziativa, a differenza della prima, fu ostacolata con ogni mezzo dalle forze dell’ordine: posti di blocco, cambi di percorso, accuse di manifestazione non autorizzata e anche la minaccia del sequestro dei pettorali e delle biciclette. Ad aumentare le difficoltà sopraggiunse anche una caduta collettiva dopo Albina.

 

Non avrei voluto che andasse a Milano anche perché allora non c’erano i mezzi di comunicazione di oggi ed era difficile avere notizie. Da Roma tornò tutto incerottato e in ciabatte, ma che fosse cascato durante il viaggio io lo seppi solo quando arrivò in piazza del Comune (Marcella Nencini moglie del ciclista-operaio Dante Arrighetti nell’intervista a TuttoSesto del 13 marzo 2019)

 

Giunti a soli trenta chilometri da Roma i manifestanti furono bloccati dalla Polizia. L’ordine arrivava dal ministro degli Interni Mario Scelba. Solo dopo una trattativa di tre ore si arrivò a un compromesso: il viaggio sarebbe proseguito con il camion della polizia ma senza sequestro delle biciclette e con il pettorale indossato

 

La polizia romana agli ordini di Scelba (il democristiano Mario Scelba, ndr) ha commesso un nuovo, inqualificabile sopruso, bloccando alle porte della capitale la colonna degli ottanta operai di Doccia e sequestrando loro le biciclette. Nessuna giustificazione dell’arbitrario provvedimento è stata data (…) Dopo il sequestro, agli operai, malgrado il loro fermo atteggiamento di protesta, si faceva persino divieto di proseguire a piedi, incolonnati (…) Il governo non potrà impedire che le 50.000 firme, primo atto necessario per cedere all’esproprio dello stabilimento di Doccia che i padroni tengono inattivo da quasi cinque mesi, possano essere presentate in Parlamento (La Nazione)

 

Erano chiari segnali che la trattativa non avrebbe potuto avere esito positivo. In effetti, nonostante le 50 mila firme, la Ginori non diventò un’azienda pubblica e, anzi, poco dopo questi avvenimenti 600 operai furono licenziati. Non paga, nel 1956, la Direzione decise il licenziamento di tutti lavoratori del nuovo stabilimento. Il sindaco, Edgardo Gemmi, dispose allora il sequestro della fabbrica per cederla in gestione agli operai che la occuparono. Fu un fuoco di paglia perché dopo qualche giorno l’atto di requisizione fu annullato, la polizia ordinò lo sgombero della fabbrica e gli occupanti furono denunciati.

Dopo 4-5 mesi di ulteriori lotte, 250 operai, tra cui tutti quelli che avevano avuto parte attiva nell’occupazione, furono licenziati. A loro se ne aggiunsero 100 del vecchio stabilimento. Il disegno discriminatorio fu esplicitato dal comportamento della direzione che licenziò i lavoratori sindacalmente più attivi per riassumerne altrettanti meno politicizzati. Lo scorretto comportamento della proprietà fu sancito trent’anni dopo quando lo Stato Italiano riconobbe a 668 degli ex-operai lo status di licenziati per motivi politici in base alla legge 36 del 1974. Ricevettero la liquidazione, la pensione e, soprattutto, il riconoscimento della verità.

Niccoli Daniele

 

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