8 ottobre 1552 – La tassa sul macinato e i miserabili

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Granchiaio

Sesto giorno per giorno la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro Sesto una bella storia e Sesto Fiorentino, i giorni della nostra storia

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l’anima che hai (Francesco Guccini)

Sesto giorno per giorno

8 ottobre 1552 – La tassa sul macinato e i miserabili

L’8 ottobre 1552 Cosimo I, all’epoca Duca di Toscana, istituì la gabella generale sopra le farine. Il provvedimento, adottato per sostenere le spese militari durante la guerra contro Siena, avrebbe dovuto avere carattere straordinario e transitorio ma rimase in vigore 126 anni e divenne una delle principali voci di entrata dello Stato.
La tassa veniva applicata a coloro che portavano il grano a macinare ai mulini e veniva riscossa direttamente dal mugnaio.

Con una circolare del 4 giugno 1678 il tributo si trasformò in Tassa sul Macinato a carattere personale e diretto, cioè si pagava sulla base delle bocche da sfamare (comprese quelle dei bambini sopra ai tre anni). Il conteggio avveniva attraverso i Boccaioli (o Portate), cioè le dichiarazioni rilasciate dai capofamiglia circa il numero dei componenti del nucleo familiare. Tali notifiche venivano verificate e vidimate (Riscontri delle bocche) dai messi della comunità attraverso controlli diretti e confronti con i registri delle anime delle parrocchie. Solo a quel punto una deputazione composta da quattro membri della comunità suddivideva i cittadini fornendo al cancelliere tutti gli elementi per compilare il Reparto e impostare il Dazzaiolo. La riscossione della tassa era demandata a un apposito camarlingo che, alla fine del mandato, consegnava i dazzaioli con la data dei pagamenti al cancelliere che, a sua volta elaborava il Saldo. La tassa fu definitivamente abolita dall’amministrazione francese e sostituita l’11 febbraio 1815, a Restaurazione avvenuta, dalla tassa di famiglia che gravava su tutti i capifamiglia “i possessori di suolo, gl’impiegati, quelli che esercitano e traggono lucro da qualunque professione liberale, i negozianti, i banchieri, i corpi morali, i mercanti all’ingrosso e al minuto, gli artisti, i locandieri, trattori, osti e generalmente chiunque abbia uno stato qualunque, o per ragione di patrimonio, o per ragione d’assegnamento personale, o per ragione d’industria”, a eccezione degli indigenti e dei miserabili.

Stando ai Boccaioli del 1774 la Comunità di Sesto, costituita da 18 popoli, contava 5659 ‘abitanti con età superiore ai tre anni’ appartenenti a 1130 famiglie. La stragrande maggioranza svolgeva lavori umili e poco remunerati. Ben 68 capofamiglia erano considerati miserabili cioè inattivi e privi di un reddito proprio. Facevano parte di questa categoria, vedove, vecchi soli e portatori di difetti fisici.

Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna.
Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi:
Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi,
e tutti se la passavano bene.
Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina (Carlo Collodi)

Due terzi della popolazione era dedita all’agricoltura. Si trattava di contadini che svolgevano la loro attività in un podere fisso (mezzadri) oppure di braccianti precari. La situazione di quest’ultimi era così critica da richiedere loro lo svolgimento di una seconda attività per poter sfamare la famiglia. Molti erano quelli che arrotondavano le entrate con la”pesca” dei granchi. Si trattava di un’occupazione stagionale molto diffusa nel territorio sestese fino al secolo scorso. Un’arte che si è tramandata di padre in figlio. I granchi d’acqua dolce vivevano numerosi sotto i sassi o in buche lungo le rive. I granchiai, muniti di falcione, aprivano la buca, raccoglievano i crostacei e li conservavano in un sacco di tela per tutto il periodo della battuta. A casa i granchi erano conservati in recipienti di coccio e custoditi al caldo. Nel momento della muta era necessario impedire al granchio nudo di “poppare” il proprio guscio per più di dodici ore. In questa maniera il granchio era abbastanza duro da non morire ma anche sufficientemente tenero per poter essere consumato con soddisfazione.

I soprannomi di alcuni sestesi (Granchiolino o Granchi teneri) e i cognomi di alcune famiglie (Granchi) derivano proprio da quest’antica attività.

L’idea di una tassa sul macinato fu ripresa nel 1865 da Quintino Sella, esponente della Destra, che come Ministro delle Finanze si ripropose il raggiungimento del pareggio di bilancio. Idea malsana visto che provocò la caduta del governo. Chissà se sarà maturata durante una delle camminate alpine dello stesso Sella. Il ministro, infatti, era un grande appassionato di montagna e nel 1863 si era reso protagonista della scalata del Monviso. Pare che in quella circostanza sia stata valutata dallo stesso ministro la possibilità di istituire un’associazione che raggruppasse alpinisti, studiosi e appassionati di montagna. L’ipotesi divenne realtà quando, il 23 ottobre successivo, presso il Castello del Valentino a Torino fu fondato il Club Alpino Italiano. Nel 1868 nacque anche la sezione fiorentina che ebbe un ruolo importante per il rimboschimento di monte Morello. Per la sezione sestese del CAI si è dovuto aspettare l’8 giugno 1938.

Diciassette furono i soci fondatori Lelio Bacci, Alois Biagioni, Ruggero Bianchini, Guido Chellini, Alfiero Conti, Corrado Conti, Enrico Conti, Tullio Contini, Eros Giachetti, Ugo Grassi, Loris Mattolini, Luigi Permoli, Pio Ragionieri, Giuseppe Taiuti, Vinicio Tarli, Giorgio Tredici e Rodolfo Vannucchi. Presidente fu nominato Luigi Permoli, già segretario del partito fascista sestese. Il Club trovò sede all’interno del palazzo Pretorio.
Dopo le vicissitudini della guerra e il continuo peregrinare, l’Associazione trova oggi domicilio presso la ‘Casa Guidi’ di Camporella.

Daniele Niccoli

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